Regia di Mario Monicelli vedi scheda film
Il pressapochismo, la capacità di fallire e la disorganizzazione dei soliti ignoti trapiantata nel picaresco medioevo ricostruito tra Viterbo e la Calabria da Monicelli. il nostro riesce con questo trascinanante capolavoro a ipotecare l'immaginario futuro dei film in costume. Un film che entra nel vocabolario e crea un linguaggio, pieno di retorica e aulismi che mischia dialetti e latinismi creando un opera originale e comica come poche altre. L'inizio lo ritengo una delle migliori esemplificazioni dell'epoca medievale, periodo di barbarie continue aspettando con timore la peste. Il prototipo dell'italiota monicelliano ha radici lontane, nella vicenda di un cavaliere che riesce a fallire più o meno tutto quello che fa. Il problema è che si circonda di gente peggio di lui, che rispetto alla sua ingenuità romantica, sono furbi, opportunisti, ignoranti,indolenti, italiani insomma. Il protagonista metà Don Chiscotte metà samurai, riesce a rivestire la sue disavventure di un epica nella quale finisce per credere solo lui, sotto la quale resta l'incapacità dell'uomo di capire le situazioni. Dal punto di vista attoriale il film , e il caso di dire, gira a mille, basta citare l'indolente bizantino Volonté o la pulzella poco virtuosa Matelda-Spaak. Brancaleone è Gassman. E' questo per l'attore il ruolo che ne sintetizza l'indole, capace di impressionare chi ascolta con la sua arte parlatoria, ma nella sostanza dei fatti inadeguato, ogni volta disposto ad abbassare le sue pretese come un eroe fallito. I disperati del nostro non possono pensare di riuscire, essendo destinati ieri come oggi, alla sconfitta.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta