Regia di Mario Monicelli vedi scheda film
Una banda di derelitti guidati dal coraggioso (ma soprattutto goffo e imbranato) Brancaleone da Norcia, sempre in sella al fido Aquilante, disobbediente cavallo con l’itterizia, parte per la Puglia, per il feudo di Aurocastro, di cui diverranno conquistatori grazie all’entrata in possesso di una pergamena che ne fornisce il diritto di possesso. Sulla via dell’armata, formata inizialmente da cinque elementi, si aggregano a turno imbroglioni, religiosi, appestati, vergini e… cornuti.
Monicelli in uno dei suoi capolavori di originalità, aiutato dalla sceneggiature di Age e Scarpelli. Il Medioevo trattato con un umorismo intelligente, grazie a personaggi e situazioni che ispireranno in futuro numerose opere (si pensi ai numerosi erotico-boccacceschi o a “Attila, flagello di Dio”). Anche qui dunque, come spesso altrove, il maestro toscano fa scuola, ren un genero prettamente comico.
Il film tecnicamente ha qualche falla, ma è tale l’alone di immortalità che avvolge l’operazione da farle considerare come piccoli difettucci trascurabili. Il linguaggio falsamente aulico e simil-forbito, ad anni di distanza ancora un “cult”, le musiche di Carlo Rustichelli, ed il motivetto dell’armata capeggiata dal santone interpretato da Enrico Maria Salerno rimangono, a prescindere, nella memoria. Prova d’attore splendida per Gassman, Salerno e soprattutto il solito inarrivabile Volontè (clamorosamente somigliante, col senno di poi, al contemporaneo Filippo Timi), anche se ruba la scena a tutti Carlo Pisacane, che fa l’ebreo Abacuc, apportatore delle emozioni più disparate (la scena della sua morte è una delle più commoventi che si ricordino). Con un riuscito sequel concretizzatosi 4 anni dopo (“Brancaleone alle Crociate”), annunciato da uno dei primi “cliffhanger” della storia.
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