Regia di Richard Donner vedi scheda film
La prima colossale trasposizione cinematografica di un supereroe dei fumetti non poteva che essere incentrata su quello più famoso della lunga lista in circolazione: 50 milioni di dollari furono investiti dalla Warner Bros nel lontano 1977 con la precisa intenzione di rendere credibile lo slogan che avrebbe accompagnato il film, e cioè che un uomo può volare.
Ci riuscirono alla grande, e nonostante Superman non mi sia mai piaciuto granché come supereroe adoro questo film a livello artistico e qualitativo, e col passare degli anni ha assunto su di me un effetto nostalgico che pochi altri film hanno.
La storia di questa produzione fu molto complessa e travagliata non solo per la difficoltà della realizzazione, ma anche per la spigolosa diatriba che si verificò in seguito al licenziamento del regista Dick Donner durante il completamento di “Superman II” - entrambi i film infatti furono girati simultaneamente e mentre il primo capitolo era nelle sale si lavorava al completamento del secondo ma nonostante gli incassi stratosferici che stava riscuotendo in tutto il mondo i produttori decisero di mettere alla porta Donner per aver in pratica trascurato la tabella di marcia e il budget, in particolar modo Alexander Salkind venne criticato pubblicamente da Donner e fu colui che prese questa decisione insensata ed ingrata che comprometterà notevolmente la riuscita del secondo capitolo.
Considero questa decisione scriteriata perché Dick Donner ha diretto questo film con grande inventiva e fantasia rendendolo unico con delle sfumature comedy e drammatiche che lo distanziano notevolmente dai cliché abituali per un film tratto da un fumetto.
Seppe gestire due superstar come Brando ed Hackman differenziando l’atteggiamento nelle relazioni interpersonali: con Brando mantenne sempre un certo distacco avvallando però anche le sue idee sull’approccio al personaggio e la trama, fu proprio Brando che interpreta Jor-El, padre dell’eroe, a suggerire di porre il simbolo di Superman sulla sua veste nel pianeta Krypton spiegando così indirettamente il significato di quella misteriosa S come lo stemma di famiglia.
Al contrario con Hackman instaurò un vero e proprio rapporto cameratesco ed è emblematico l’aneddoto di come l’attore fu scritturato nel ruolo di Lex Luthor che ovviamente non porta i baffi ed è calvo: dopo aver parlato al telefono sulla possibilità di fare questo film Hackman gli disse che si sarebbe reso disponibile solamente se anche Donner si fosse rasato i baffi, quando i due si incontrarono Hackman era senza baffi mentre Donner li portava ancora, l’attore gli chiese di rispettare il loro accordo al che Donner mise mano ai suoi baffi e se li tolse sorridendo con uno strappo secco perché erano finti, Hackman ne rimase folgorato e capì che questo regista aveva la fantasia e tutte le carte in regola per far funzionare un film così complesso da realizzare.
E’ superfluo dire che quando Donner fu licenziato Hackman fu seccatissimo e se ne andò a tutta birra lasciando diversi buchi di sceneggiatura nella pellicola ed il risultato finale di “Superman II” per il quale fu sostituito da un sosia per i campi lunghi fu compromesso notevolmente.
Dick Donner fu il vero motore di questo film in cui ballarono nomi eccelsi ed il risultato si vede eccome, nonostante il film possa impallidire se confrontato con le tecnologie avanzatissime del terzo millennio ha uno spessore artistico nettamente superiore perché ci lavorarono degli specialisti come lo scenografo John Barry che si era già messo in mostra con il lavoro immenso per realizzare gli ambienti della Morte Nera in “Guerre Stellari”, il mago delle luci Geoffrey Unsworth a cui il film è dedicato perché morì poco dopo l’uscita nelle sale e fu purtroppo seguito da li a pochi anni da John Barry a causa di una meningite fulminante.
John Williams contribuì con uno score perfetto e travolgente, in cui il suo stile inconfondibile risuona ad ogni squillo di tromba; più complicata fu la stesura della sceneggiatura che fu in un primo momento affidata a Mario Puzo, in auge per il successo de “Il Padrino”, ma Tom Mankievicz giurò che nemmeno mezza parola dello script di Puzo fu utilizzata perché ritenuta troppo macchinosa, gli venne comunque accreditata l’ideazione della storia che fu sceneggiata da David e Leslie Newman con la supervisione dello stesso Mankievicz, un veterano dei film di 007.
Il cast è poi composto da un gruppo di attori di primordine anche per i ruoli di contorno che hanno comunque una funzione essenziale per lo sviluppo della trama sorretta perfettamente dallo scavo psicologico dei personaggi: Brando ricevette un ingaggio record per uno screen-time di circa 12 minuti, ma il suo apporto nel ruolo di Jor-El è notevole non solo nell’introduzione sul pianeta Krypton in cui compare anche un carismatico Terence Stamp nei panni del generale Zod che sarà l’antagonista nel sequel, ma soprattutto nella figura olografica che guida Kal-El per la missione sul pianeta terra.
Susannah York nel ruolo della madre è meno significativa mentre sono eccezionali Glenn Ford e Phyllis Thaxter nei panni dei coniugi Kent e la breve parte dedicata all’adolescenza di Kal-El che li vede in azione ha uno spessore enorme nello sviluppo del personaggio. Margot Kidder incarna una Lois Lane moderna ed aggressiva risultando memorabile nel bene e nel male anche per le sue urla a bocca spalancata che sono però controbilanciate dal sottile romanticismo che le illumina il viso quando è con Superman; Hackman è un Luthor geniale e pieno di ironia criminale costretto a scontrarsi spesso con l’idiozia del suo braccio destro Otis interpretato perfettamente da Ned Beatty, ed i loro siparietti stemperano la tensione come nei migliori Bond movies di quel periodo, la sua aiutante ed amante è la formosa Valerie Perrine come sempre molto molto carina e capace tanto che Miss Teschmacher ha un ruolo fondamentale nello snodo della trama.
Tutti questi attori avrebbero però fallito miseramente nonostante le loro indiscusse qualità se Dick Donner non fosse subentrato dopo qualche settimana a Guy Hamilton che non poteva restare più di un mese a Londra per motivi fiscali, perché fu proprio Donner ad imporre l’idea che per il ruolo del protagonista c’era assoluto bisogno di una faccia nuova.
La riuscita di un film che narra le avventure di un supereroe è legata alla scelta dell’attore che lo interpreta, se si sbaglia questo cast fondamentale si va incontro inevitabilmente al fallimento e trovo incredibile che i produttori pur di avere una star avessero in mente di affidare il ruolo a gente come Dustin Hoffman, ma ve lo immaginate dall’alto del suo metro e sessantacinque con il suo nasone vestito
d’azzurro svolazzanre per New York truccata da Metropolis, o Robert Redford biondo come un uomo biondo, o addirittura Clintone Eastwood con la sua faccia di bronzo a fare gli occhioni a Lois Lane, io credo che solo pensarle certe cose significa volersi fare del male e produrre un brutto film; fu allora che Dick Donner ruppe gli indugi e decise di scritturare fra più di duecento attori Christopher Reeve che si era presentato più volte alle selezioni perché convinto di avere tutto ciò che serviva, ma in un primo momento fu ritenuto un po’ sotto peso, non gli ci volle molto ad aumentare la massa corporea di circa 15 kili ed ottenere la parte che segnerà la sua vita e la storia di questo personaggio al cinema.
Se non ci sarà mai un altro Bond migliore di Connery, un Frank’n Further migliore di Tim Curry, o qualcuno superiore a Malcom McDowell nei panni di Alex De Large, non ci sarà mai nessuno più bravo di Reeve in questo ruolo sotto ogni punto di vista: Reeve era la copia conforme non solo di Superman dall’alto del suo metro e novantacinque ma aveva i caratteri somatici perfetti per Clark Kent e dimostrò doti interpretative eccelse soprattutto nella veste dell’alter ego di Superman che volle caratterizzare come un nerd imbranato deviando dalla matrice fumettistica proprio perché questi due caratteri in un film devono per forza divergere altrimenti Clark Kent altri non è che Superman con un paio di occhiali, osservazione ultra pertinente che non mi ha fatto mai amare più di tanto questo personaggio.
L’aspetto che poi fece colpo su Donner è che era un abile deltaplanista e queste doti acrobatiche gli permisero di muoversi leggiadro quando veniva sollevato dai cavi per le riprese di Superman in volo: non si limitava a stare sospeso ma assecondava il tiraggio della sua imbracatura arcuando la schiena e allungando le braccia lungo il corpo o davanti a se’ con estrema disinvoltura e quando per la prima volta in un campo lunghissimo dal pulpito della Fortezza della solitudine spiccò il volo la troupe rimase in silenzio come stupefatta per poi esplodere in un esultanza da stadio, cosa che verrà poi ripetuta in tutti i cinema del mondo.
Risolto questo problema basilare si iniziò a produrre il film e come sempre il primo capitolo di una saga deve obbligatoriamente fissare i punti cardine della genesi del personaggio per poi mollare gli ormeggi e dare spazio allo spettacolo nei capitoli successivi, in “Superman” c’è lo sviluppo perfetto di questi passaggi notevolmente arricchiti dalla descrizione minuziosa dei personaggi che ruotano intorno al protagonista ma anche ovviamente tanta azione nella seconda metà.
Il film è quindi ripartibile in tre grandi tronconi: il primo si svolge sul pianeta Krypton dominato da Brando e le scenografie di John Barry: come noto Jor-El è uno scienziato di grande sapienza che dopo aver confinato Zod e i suoi seguaci nella zona d’ombra cerca di mettere in guardia i governanti del pianeta sul destino che li attende, ma non viene creduto ed è costretto a spedire nello spazio il suo unico figlio in una piccola capsula che gli permetterà di raggiungere il pianeta terra.
L’introduzione al film dura circa un quarto d’ora ma è ricca di avvenimenti e fissa il rapporto fondamentale fra Kal-El e suo padre che ritornerà con la sua sapienza contenuta nel prezioso cristallo verde per guidarlo nelle vesti di eroe venuto dal cielo, quasi come l’avvento del messia.
La catastrofe sul pianeta Krypton fu ottenuta con il complesso utilizzo di pompe idrauliche che fratturavano il set creando un fragoroso terremoto ed un altro effetto che si ricorda sono gli abiti luccicanti degli abitanti del pianeta: fu ottenuto rivestendo i costumi neri con dei frammenti di materiale rifrangente, sopra la telecamera veniva posizionata una luce allineata con l’obbiettivo che veniva attivata simultaneamente al ciak rendendoli magicamente argentei ma anche fastidiosamente caldi per gli attori.
L’arrivo sulla terra di Kal-El apre il secondo capitolo con l’incontro fra il piccolo e i coniugi Kent, i due anziani agricoltori di uno stato che può essere identificato come il Maine o il Kansas scoprono fin da subito che quel ragazzo fuoriuscito da una meteora non è di questo pianeta perché in possesso di incredibili poteri.
Questo tratto del racconto è molto significativo per lo scavo caratteriale del personaggio e gode di alcune sequenze memorabili che toccano il cuore, Kal-El alias Clark Kent è un ragazzo costretto a nascondere le sue fantastiche capacità e questo aspetto sottolinea la sua solitudine, Superman è un eroe molto malinconico condannato ad occuparsi dell’umanità senza potersi considerare come uno di loro, tutto ciò gli viene chiaramente detto da Jor-El suo padre ma anche il dialogo con il padre terrestre Johnatan Kent ha un grosso spessore visto che il ragazzo continua a chiedersi chi egli sia veramente, l’affettuoso padre gli risponde che pur non sapendo chiaramente perché sia giunto sulla terra è convinto che lui sia lì per un preciso scopo: combattere il male e forse anche sconfiggere la morte stessa, è significativo che questo scambio si concluda con l’improvvisa morte del vecchio Kent in una scena di grosso impatto emotivo che lega il ragazzo prodigio dai fantastici poteri a tutti noi.
La presa di coscienza della maturità per Kal-El è la scoperta nel granaio del cristallo luminoso verde in cui è racchiuso il segreto del suo mistero.
L’adolescenza di Kal-El si chiude con una sequenza di grandissimo cinema capace di sprigionare un grappolo di emozioni: all’alba mamma Kent vede Clark sul campo di grano ad osservare l’orizzonte, lo raggiunge e il ragazzo le comunica che è il momento di lasciare la fattoria, una decisione che ci mette in contatto diretto con lui perché questo momento arriva per tutti, l’anziana madre gli risponde che sia lei che il defunto marito lo hanno sempre saputo ma è altrettanto consapevole che il loro amore è stato fondamentale per la sua crescita e gli chiede solo di non dimenticarli, Clark l’abbraccia affettuosamente. Dick Donner a questo punto, coadiuvato dalla bella musica di Williams in sottofondo, fa una delle cose più belle che io abbia mai visto al cinema riprendendo Clark e sua madre abbracciati, con la m.d.p. montata su una gru mantenuta ad altezza grano, appena in movimento, per poi alzarsi quando i due corpi si voltano verso il sole nascente ed in pratica volare sopra le loro teste, in una accelerazione rapida verso l’orizzonte come per sancire la fine dell’adolescenza, la partenza di Clark, il mistero del destino che lo attende e la fine di questo segmento. E’ superfluo dire che questa sequenza appena descritta è la mia preferita in questo film, a dimostrazione che non è una semplice storia di supereroi ma la parabola di un uomo speciale che si pone le stesse domande di un terrestre.
Lasciata la fattoria, il viaggio verso il polo nord di Clark si conclude con la creazione della Fortezza della solitudine che si erge dal ghiaccio e riporta alla struttura del pianeta Krypton: anche qui il lavoro coordinato di Barry ed Unsworth è notevolissimo e la comparsa del faccione di Brando dinnanzi a suo figlio è un’altra sequenza chiave per lo sviluppo del personaggio, che finalmente scopre le sue origini ed il suo scopo nell’Universo.
Questo tratto di raccordo comunque importantissimo termina con la sequenza del volo precedentemente descritta che ci proietta verso un altro film, quello che tutti stavamo aspettando.
Christophere Reeve irrompe a Metropolis e nella pellicola e fin da subito si resta colpiti dalla corrispondenza perfetta fra lui ed il suo ruolo, è veramente Superman che impersona Clark Kent, l’arrivo al Daily Planet è pieno di interpunzioni umoristiche e soprattutto descrive minuziosamente l’attrazione del protagonista nei confronti di Lois Lane che vive nella caratterizzazione solidissima di Margot Kidder: a differenza del fumetto la sua performance ne da’ una immagine tutta nuova, di reporter logorroica e frenetica ma anche molto capace.
Tom Mankievicz ha detto una cosa fondamentale sull’intera faccenda: Superman è innamorato di Lois Lane! La chiave di tutto sta nel loro incontro e nella loro relazione, il film si impenna nel momento in cui la ragazza è in pericolo e finalmente arriva la sequenza tanto attesa con Reeve stupendo che attraversa la quarantaduesima strada aprendo la camicia che nasconde il suo costume, entra in una porta girevole e ricompare nei panni di Superman sfrecciando verso il cielo.
La sequenza dell’incidente occorso all’elicottero in cima al Daily Planet è un prontuario dei migliori effetti speciali disponibili in quegli anni per dare l’illusione del volo con cavi e retroproiezioni, un vero gioiello che inaugura la prima notte di Superman sotto gli occhi del mondo.
Il giorno successivo tutta la città ne parla, compreso Lex Luthor, il più grande genio criminale della terra che sta architettando un piano per far sprofondare la California ed il New Jersey, ma la comparsa di Superman rappresenta un grosso ostacolo, sarà proprio Lois con la sua intervista a fornirgli le informazioni per metterlo in difficoltà.
L’incontro fra Lois e l’uomo d’acciaio nel terrazzo dell’appartamento di lei è una sequenza tutta dedicata alle donne e al loro sogno di avere al fianco un uomo forte e leale che non mente mai, capace di farle volare e tornare bambine come in una favola. In questa sequenza Christopher Reeve e Margot Kidder sono eccezionali: trapela fra loro l’imbarazzo e la magia del sentimento che li fa volare su Manhattan, il dialogo è costruito benissimo soprattutto quando la ragazza comincia ad annotare i suoi poteri e gli chiede se può vedere il colore delle sue mutandine, Superman in quel momento non può perché la ragazza è dietro una fioriera di piombo, l’unico materiale che non può penetrare con lo sguardo, come la ragazza si sposta lui risponde “Rosa”, lei continua l’intervista ed inserendo fra le domande “Le piace il rosa?” crea un po’ di imbarazzo nel supereroe che timidamente risponde “Mi piace moltissimo!”.
Il climax è tutto dedicato al supereroe e ai suoi poteri contro l’astuzia di Luthor e la forza della natura scatenata dal suo piano diabolico, questo lungo e emozionante tratto del film è un vero gioiello che ha fatto scuola per i filmakers delle generazioni a venire: nel covo del diabolico malfattore il supereroe passa un brutto quarto d’ora ma poi entra in azione salvando treni dal deragliamento ed autobus dal precipizio in un montaggio elaboratissimo di modelli in scala ed effetti visivi un po’ datati ma sempre affascinanti da osservare, in un’epoca in cui i computer erano in dotazione solo alla Nasa.
E’ comunque l’ultimissima prodezza ad avvalorare la teoria di Tom Mankievicz sul cuore del racconto incentrato fra la storia d’amore fra Superman e Lois Lane.
Il film è già bello di per se’, ma se i suoi estimatori ne volessero ancora di più la versione director’s cut ci svela il nome della bambina che a Smalville vede dal treno Clark Kent sfrecciare nella campagna, ci da’ un’altra immagine di Superman nella Fortezza con la sua solitudine mentre tende le braccia verso la figura eterea di Jor-El dopo la sua prima notte da supereroe, ci concede di vedere i trabocchetti attuati da Luthor nei meandri del suo covo sotterraneo per bloccare Superman e tante altre scene che non cambiano il senso della storia ma la arricchiscono comunque; l’unica sequenza che non è stata montata, credo per la resa insoddisfacente del volo di Superman, è quella in cui Luthor vorrebbe giustiziare la signorina Teschmacher.
Dedicato di Christopher Reeve, l’unico e solo uomo d’acciaio
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