Regia di Tim Burton vedi scheda film
Attraverso scenografie sconvolgenti e un universo scoppiettante, Tim Burton ci serve la difficile convivenza con gli altri e con ciò che ci tocca in sorte.
Domanda: cosa accade all'individuo, alla coppia, alla famiglia, se si distanzia irrimediabilmente da tutto ciò che lo/la realizza? Burton, che è tanto esteta visionario quanto predicatore indefesso, ci mette davanti la nostra dipendenza dalle cose, dal giudizio altrui, dal pregiudizio che, in fondo, è il carattere nascosto del mondo che amiamo. Attraverso una mirabile parabola, questa ridda nera somiglia alla sophisticated comedy, sua antenata nella costruzione degli equivoci, dei fallimenti, dei caratteri. Magistrale: innanzitutto ci viene mostrata la coppia perfetta che smotta nell'abisso, e viene catapultata in un mondo di adattamento, fai-da-te, nuove priorità. Dopodichè passiamo al piatto forte, ovvero una famiglia borghese quasi disfunzionale, in cui ognuno cerca di soddisfare il proprio ego. Nell'ossessiva ricerca di dignità e riscatto, padre e matrigna schiacciano e vengono schiacciati: loro più degli altri sembrano spiriti erranti alla ricerca della salvazione. L'unica che può comprendere la propria indifferenza è la figlia, colei che vive da vicino il proprio innocente tormento, riversandolo in se stessa. Per Burton gli adolscenti sono e saranno sempre pepite d'oro che brillano nella fanga. In tutto questo, Beetlejuice è la livella, che in fondo mette alla prova tutti i convenuti in casa. Gli adulti vivi se ne compiacciono come fosse divertimento, gli adulti morti lo invocano come unica soluzione vendicativa, la ragazza è l'unica che subito distingue il bene dal male, non essendo attratta da quest'ultimo. Attraverso scenografie sconvolgenti (in positivo) e un universo scoppiettante (quello dei morti, stupefacente), Tim Burton ci serve la difficile convivenza con gli altri e con ciò che ci tocca in sorte. Ma solo nel finale.
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