Regia di Marcello Aliprandi vedi scheda film
E' una storia all'italiana, che racconta in forma di fiction la realtà del cosiddetto Belpaese, ma arrivando decisamente in anticipo sui tempi di Tangentopoli (primi anni '90) e dello squallore berlusconiano (dal 1994 per un ventennio). Una nazione corrotta e marcia fino al midollo: non inganni però questa visione negativa e pessimista dell'Italia, se si colloca giustamente la pellicola di Aliprandi all'interno di un filone, quello poliziesco, che da almeno un paio di anni aveva preso ormai prepotentemente piede sul grande schermo mettendo in scena degrado, miseria, poliziotti impotenti, vendette personali, attentati sanguinolenti alla luce del sole, malavita imperante e quant'altro, e prima ancora, sul finire dei Sessanta - primi anni Settanta, i prodromi di tale fenomeno artistico si sviluppavano grazie a opere come Il commissario Pepe (Ettore Scola, 1969) o Siamo tutti in libertà provvisoria (Manlio Scarpelli, 1971). La sceneggiatura firmata da Aliprandi, Gianfranco Clerici e Fernando Imbert è estremamente cruda e asciutta, mostrando con buona verosimiglianza e senza tanti fronzoli uno spaccato vergognoso della nostra società; tanto crudo e tanto verosimile è il film, che si apre con una didascalia che avverte nella maniera più esplicita e precisa che si tratta di un lavoro completamente di fantasia. Buono il cast: Fernando Rey, Franco Nero, Umberto Orsini, Martin Balsam, Gabriele Ferzetti e Umberto D'Orsi sono i nomi principali sul cartellone; da apprezzare anche le musiche di Pino Donaggio. 5/10.
Un affarista colluso con la malavita riesce a evitare un controllo delle forze dell'ordine grazie a una soffiata. Un giudice indaga sul misfatto, ma a lungo andare ottiene solo una promozione destinata a chiudere l'inchiesta.
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