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La croce di ferro

Regia di Sam Peckinpah vedi scheda film

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La recensione su La croce di ferro

di giurista81
8 stelle

Violentissimo war movie siglato Peckinpah, tutto giocato sulle spettacolari scene d'azione e i dialoghi fulminanti di matrice eversiva. Peckinpah porta in scena una sceneggiatura scritta a sei mani, tratta da un romanzo del 1957 di Will Henrich, dotata di pochi sviluppi narrativi, ma assai ben costruita per quel che concerne la caratterizzazione dei personaggi. Protagonista è un caporale tedesco, poi promosso sergente, interpretato dall'ottimo James Coburn. Uomo controverso, di filosofia anarchica, poco incline ai compromessi e retto da principi che non intende sacrificare a favore di biechi vantaggi ("Un uomo di regola rimane fedele alla propria personalità"). Un atteggiamento che altri suoi compagni di battaglia non possono dire di avere. Sempre pronti a tutto, persino a sparare sui connazionali, pur di conseguire un vantaggio. Decorato con la croce di ferro per l'alto valore in battaglia, è un tedesco ostile al Fuhrer e a tutti gli ufficiali, che dice di odiare senza eccezioni. E' un soldato modello, più che per l'attaccamento alla patria, per via del rapporto di fratellanza che lo lega al plotone da lui stesso comandato. Per salvare i suoi, è disposto a correre in direzione delle bombe, a gettarsi in trincea e ad abbandonare per ultimo il teatro di guerra. Entrato in polemica col diretto superiore, il vigliacco e codardo Capitano Stransky (interpretato dal bravo Maximilian Schell), finirà per subire le angherie del superiore che farà di tutto per metterlo in difficoltà e farlo uccidere. Non farà altrettanto il personaggio di Coburn, neppure quando avrà l'occasione di denunciare il superiore al cospetto del colonnello da cui dipendono entrambi. Chiedere aiuto altrui o entrare a far parte di procedimenti disciplinari non sono prerogative che caratterizzano il suo profilo comportamentale.

Peckinpah gira con grande maestria le scene dei combattimenti, tra rallenty, montaggio serrato, spruzzi di sangue che schizzano dai soldati attinti dai proiettili, carri armati che sparano cannonate e poi gore a profusione, persino una donna che stacca con un morso un membro di un soldato che intendeva violentarla. Il tutto in un'atmosfera estraniante (si veda l'allucinata e onirica sequenza all'ospedale), nella Russia (anche se il film è girato in Yugoslavia), con un folle epilogo in cui Coburn se la ride di gusto, andando incontro alla morte, nell'ammirare il suo capitano in difficoltà con un mitra in mano. Quest'ultimo, infatti, aveva cercato in tutti i modi di ottenere la croce al merito cercando di far credere, mediante deposizioni false, di aver condotto un assalto, quando poi non sa neppure sostituire un caricatore da una mitragliatrice.

 

Peckinpah, fin dall'inizio, sottolinea la follia della guerra. Vengono proposte una serie di filmati tratti da documentari commentati con una canto di bambini che stona con la crudeltà di quanto mostrato o con i sorrisi di Adolf Hitler. "Credi in Dio?" chiede un soldato al personaggio interpretato da Steiner. "A volte, penso che sia un sadico" la cinica risposta.

Orson Welles definì La Croce di Ferro il miglior war movie mai realizzato. L'opinione ci pare un po' affrettata. Non troppo esaltante nella confezione, con una fotografia anonima (bella invece la colonna sonora), è comunque un war movie che miscela la spettacolarità della guerra con messaggi di fondo eversivi che consegnano alla leggenda i soldati (operai) del fronte e gettano discredito sugli ufficiali (nobili) che stanno dietro le quinte. I primi che ottengono riconoscimenti a cui non tengono e i secondi che bramano riconoscimenti, che non meriterebbero, per farsi belli e tronfi nelle serate di gala.  

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