Regia di Sam Peckinpah vedi scheda film
Secondo me affermare - come fa per esempio Mereghetti - che qui l'uso del ralenti denuncia un atteggiamento compiaciuto nei confronti della guerra significa dire una grossa baggianata, figlia con ogni probabilità di una lettura superficiale del film. Ha ragione, invece, Valerio Caprara, quando parla (nel Castoro su Peckimpah) dei personaggi della Croce di ferro «come immersi in un trip allucinogeno» ed è, questo, un modo legittimo di descrivere la guerra, secondo un andamento originale che verrà ripreso in seguito da alcuni film, in particolare sulla guerra del Vietnam. L'occhio di Peckimpah è indubbiamente nuovo, anche se, tutto sommato, si può ben guardare alla sua opera bellica (questa) come ad un western crepuscolare ambientato fra le trincee ed i cavalli di Frisia della Seconda Guerra Mondiale. Il regista del Mucchio selvaggio mette in scena il Nemico (anzi i Nemici per anotonomasia: i Tedeschi, nemici di guerra, ed i Russi, nemici del dopoguerra), identificandosi con esso ed usando la sua disillusione di sconfitto per pronunciare una condanna senza appello della guerra e delle idee - probabilmente tutte - che vi hanno condotto e della retorica che le sta attorno. Questi aspiranti eroi nel "mondo delle idee", ma antieroi nel fango dei campi di battaglia, sono destinati a soccombere, senza nemmeno la consolazione del tramonto che salutava il mucchio selvaggio: una risata, amarissima, li seppellirà.
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