Regia di Franklin J. Schaffner vedi scheda film
All’origine c’è un’idea folle, contenuta nel romanzo omonimo di Ira Levin: un nostalgico e sadico medico nazista ha esportato dal corpo morente del Fuhrer campioni di tessuto, generando poi novantaquattro maschi sparsi per il mondo condannati a vivere un’esistenza analoga a quella del piccolo Hitler (padre maturo, madre giovane e sottomessa, insegnanti che non lo capiscono, passione per la fotografia e il cinema…). Si dà il caso che il padre di Adolf morì quando il figlio aveva quattordici anni: allora il medico fa partire un’operazione atta all’uccisione di tutti quei novantaquattro padri. Sulle sue tracce si mette un vecchio cacciatore di nazisti. Fantapolitica, fantascienza, fantabiologia e tante altre cose che si muovono sul filo dell’assurdità, è un thriller ma anche una spy story che si rivolge alle paranoie del grande pubblico con efficacia ed impatto emotivo. Va preso con le pinze, senza prenderlo mai realmente troppo sul serio, è puro mainstreaming anni settanta in cui, nonostante qualche lentezza qua e là specialmente nella prima parte (che forse andava asciugata in favore di un ritmo più tosto), si raggiungono gli obiettivi prefissati (angoscia, paranoia, divertimento, inquietudine) anche grazie alla incessante colonna sonora di Jerry Goldsmith. Personaggi memorabili: Gregory Peck sorprendentemente crudele (con tinta nera assassina), Laurence Olivier solennemente gigione (con finale illuminato ed illuminante). La loro rissa finale è straniante. Due donne che impreziosiscono un film maschile: Lilli Palmer come forte sorella di Olivier e Uta Hagen nei panni di una vecchia aguzzina decadente. Epilogo inquietantemente inutile.
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