Regia di Joseph Losey vedi scheda film
Credo sia necessario, prima di parlare del film di Losey, utilizzare un po' del mio e soprattutto del vostro tempo per analizzare sotto diverse ottiche il Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart.
GENESI DEL LIBRETTO
Sembra sia stato il librettista Lorenzo Da Ponte stesso ad aver suggerito al compositore l'argomento per l'opera. Tuttavia in quel periodo Da Ponte stava scrivendo ben tre libretti: uno per Martini, uno per Salieri e, appunto, uno per Mozart. Non c'è da stupirsi quindi se quando Mozart e Da Ponte partirono per Praga nel settembre 1787 (da dove era stata commissionata l'opera da parte del Boldini) il libretto per il Don Giovanni non fosse stato ancora terminato. Si narra che persino Giacomo Casanova collaborò alla sua stesura. Non bisogna comunque dimenticare che Mozart possedeva un volume con le commedie di Molière comprendente il “Don Giovanni” e che certamente conosceva il balletto di Gluck “Don Juan”. L'opera di Molière fu molto probabilmente, almeno così dicono i musicologi, più influente della commedia seicentesca “El burlador de Sevilla” di Tirso de Molina. Da Ponte dovette infine, visto il poco tempo a disposizione, attingere a piene mani dal “Convitato di pietra” di Giovanni Bertati.
FORTUNA DELL'OPERA
Il Don Giovanni andò in scena a Praga il 29 ottobre 1797, e pur non ottenendo il successo delle precedenti Nozze di Figaro il Bondini non poté di certo lamentarsi. Diversa fu la sorte quando l'opera fu rappresentata a Vienna dove l'imperatore sollevò qualche critica. Ci informa Da Ponte:
“Andò in scena e... deggio dirlo? Il Don Giovanni non piacque. E che ne disse l'imperatore? 'L'opera è divina: forse più bella del Figaro, ma non è cibo pei denti de' miei viennesi'. Raccontai la cosa a Mozzart (sic), il quale rispose senza turbarsi: 'Lasciamo loro il tempo di masticarlo'. Non s'ingannò. Procurai, per suo avviso, che l'opera si ripetesse sovente: a ogni rappresentazione l'applauso cresceva e a poco a poco anche i signori viennesi da' mali denti ne gustaron il sapore e ne intesero la bellezza, e posero l'opera tra le più belle che su alcun teatro drammatico si rappresentassero”
*per la citazione dei testi di Lorenzo Da Ponte ho preso spunto da una monografia sul Don Giovanni curata da Claudio Casini.
L'INTERPRETAZIONE PRESENTATA NEL FILM
Parlare della versione utilizzata per realizzare il film di Losey contribuisce in buona parte a descrivere il film stesso. E non potrebbe essere diversamente: i cantanti dell'incisione sono anche gli attori che appaiono durante la visione, i tempi scelti dal direttore danno il tempo alle riprese, ai piani e al montaggio. Le arie vengono interpretate dai protagonisti in playback, utilizzando l'incisione della CBS (purtroppo non più in catalogo, ma il sottoscritto fortunello la possiede assieme a circa altre 25 versioni, ma questa fu la prima che ascoltai e che mi fece amare quest'opera, quindi nutro per lei un certo affetto...), mentre i recitativi, per aderire meglio alla messa in scena, sono stati registrati ex novo.
Di seguito il cast, l'orchestra e il direttore:
Don Giovanni: Ruggero Raimondi
Donna Elvira: Kiri Te Kanawa
Zerlina: Teresa Berganza
Donna Anna: Edda Moser
Leporello: José van Dam
Masetto: Malcom King
Don Ottavio: Kenneth Riegel
Commendatore: John Macurdy
Coro e Orchestra del Théàtre National de l'Opéra, Paris
direttore: Lorin Maazel
I cantanti rappresentano il meglio che si potesse avere a disposizione nel 1979. Da ricordare ovviamente Raimondi, Don Giovanni per antonomasia, ma anche Van Dam, che ci regala un Leporello memorabile, un VERO basso comico dalla dizione perfetta. La Berganza non ha neppure bisogno di lodi, la Moser ha una voce mai eccessivamente spinta e vibrante, riuscendo a rendere plausibile un personaggio sfaccettato (molto spesso incompreso), sempre sospeso tra dolore, amore e consapevolezza del fascino del male (Don Giovanni non è in fondo la massima rappresentazione di quest'ultimo? Un male che poi altro non è che un compendio dei vizi umani?). Infine il personaggio di Donna Elvira, troppo spesso ridotta ad un semplice uccellino canterino assai gradevole ma inerte (e questo è accaduto anche con grandi interpreti), mentre invece sin dalla prima aria (“Ah chi mi dice mai...”) deve trasmettere sdegno per il traditore (memorabile la sua aria di furore) e allo stesso tempo l'incapacità di odiarlo (“l'ultima prova dell'amor mio”). La Te Kanawa non sbaglia un colpo (ma la migliore Donna Elvira resta per chi scrive, e per molti altri, la divina Elisabeth Schwarzkopf).
Per quanto riguarda la direzione di Maazel bisogna sottolineare che la filologia applicata alle opere di Mozart doveva ancora giungere. E' ovvio quindi che sia presente un'orchestra sinfonica, la quale tuttavia non risulta mai tonitruante o invadente. Certo, l'equilibrio che hanno ottenuto Gardiner, Kuijken, Jacobs, Ostman e Harnoncourt con i loro strumenti originali la fa apparire “lontana” ad un orecchio moderno, ma il fraseggio e la scelta dei tempi da parte di Lorin Maazel non hanno nulla da invidiare alle direzioni più recenti e “storicamente informate”. Si potrebbe parlare a lungo delle numerosissime versioni che negli anni si sono susseguite negli scaffali dei negozi di dischi, ma per avvalorare la mia convinzione in merito all'attualità di questa incisione farò un unico esempio. In passato il Don Giovanni veniva letto sotto una visione totalmente luciferina e tragica. Non è un caso che alcuni direttori terminassero l'opera con la morte del protagonista, tagliando l'assieme finale. Ascoltando il grandissimo Furtwangler si nota subito questa visione totalmente drammatica, con una direzione lenta, dai toni cupi. Sembra quasi che fino ad un certo periodo veramente pochi direttori avessero a mente il termine che Mozart stesso aveva dato al suo capolavoro: “dramma giocoso in due atti”. Con Maazel e i cantanti di questa versione quel “giocoso” per fortuna si sente. Un'ultima nota è obbligatoria: sino ad oggi io personalmente non ho ancora sentito (e ne ho ascoltati davvero tanti...) dei recitativi migliori di questa versione.
******
All'inizio (prima dell'inizio) viene citata una frase di Antonio Gramsci,“ ...il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati “.
Più precisamente Gramsci scrisse: “la crisi insiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati “ (...) “la morte delle vecchie ideologie si verifica come scetticismo verso tutte le teorie e le formule generali e applicazione al puro fatto economico (guadagno eccetera) e alla politica non solo realista di fatto (come è sempre) ma cinica nella sua manifestazione immediata”.
Tuttavia la frase per intero credo generi confusione, mentre il brano citato (o volutamente “mutilato”?) è una sorta di manifesto programmatico: Don Giovanni rappresenta “il vecchio che non vuole morire ma anzi rivendica i suoi privilegi”; da qui i “fenomeni morbosi più svariati”. Egli ritiene di appartenere ad una classe di eletti ai quali tutto è permesso (parafrasando Hitler). La sua morbosità non è da intendere come crudeltà: egli, essendo un cavaliere, può uccidere, essendo un nobile, può disporre della vita dei villani... e non se ne pente poiché fermamente convinto che tutto questo faccia parte dell'ordine delle cose. Semplicemente è se stesso e non si reprime.
Quando Morando Morandini in una sua critica parla di Brecht dubito fortemente sia per le scenografie, i costumi o le interpretazioni, che a mio avviso sono all'opposto del “teatro epico”, se di Brecht si deve parlare è proprio partendo dalla citazione di Gramsci, passando per un valletto muto (non presente nell'opera mozartiana) che rappresenta lo spettatore attivo nel suo silenzioso riflettere, per arrivare alla morte del libertino da vedersi come la vittoria della democrazia.
Si è accennato alle scenografie: ebbene, il film è figurativamente splendido. L'azione si sposta da Siviglia a Vicenza (ma l'ouverture ha luogo a Venezia, in una vetreria, dove Don Giovanni viene scrutato in silenzio dagli altri personaggi e dove egli stesso senza proferire alcuna parola osserva il fuoco dei crogioli, forse un inconscio presentimento?).
I capolavori del Palladio si mostrano in tutto il loro splendore anche grazie alla fotografia di G. Fischer.
Ma la Basilica palladiana, la Rotonda e il Teatro olimpico servirebbero a poco se a reggere i fili non ci fosse Losey, un regista che ha sempre amato il teatro (non dimentichiamo i suoi film in collaborazione con Harold Pinter) e che si sa districare perfettamente dalle insidie del “teatro in scatola”. Le sequenze da ricordare sono tante, una su tutte la lista che sembra non finire mai durante l'aria di Leporello “madamina il catalogo è questo”(ma tutta questa scena è bellissima, vedi il primo piano del dissoluto che osserva una giovane “...sua passion predominante è la giovin principiante...” intenta a lavarsi e che non mostra alcuna vergogna quando scopre quello sguardo fisso su di lei: innocenza o malizia?)
La macchina da presa diviene tutt'uno con la musica, basti pensare all'arrivo di Don Ottavio e Donna Anna sul luogo dell'assassinio del commendatore (“ah del padre in periglio in soccorso voliam”): al fremente vibrato degli archi la mdp, prima ferma, inizia a “correre”, come se fosse anch'essa alla ricerca del corpo ormai senza vita del padre della fanciulla. Splendida la scena della seduzione di Zerlina, dove il protagonista esprime chiaramente la sua manifesta superiorità sui plebei, tutti imbevuti di pregiudizi riguardo ai nobili cavalieri come lui. Ed infine non si può non ricordare l'arrivo del convitato di pietra, che offre a Don Giovanni la possibilità di salvare la sua anima. Il nobile rifiuta, offende sprezzante perché ignorante, non perché, come in una tragedia, egli voglia compiere il suo destino, ma molto più semplicemente perché non riesce a cogliere il peso delle sue azioni.
Mi rendo conto che ho parlato molto più dell'opera mozartiana che del film in sé. Tuttavia in questo lavoro di Losey si può davvero parlare di messa in scena o, meglio, di mise en scene; poiché ciò che nei consueti film è essenziale (RI)TROVARE(dialoghi, colonna sonora, e, in parte, sceneggiatura) qui è non solo già presente ma PERENNE. E in questo frangente Joseph Losey si è trovato nella situazione bellissima di lavorare PER l'arte facendo egli stesso arte: l'arte delle immagini. Quale altra definizione potremmo mai dare al Cinema?
Voto personale: *****
P.S. Vorrei solo chiarire che i miei voti attraverso le stellette non coincidono con quelli FilmTv:
insufficiente: *
sufficiente: **
buono: ***
ottimo: ****
da bellissimo fino a capolavoro: *****
spesso aggiungo la mezza stella, ad esempio ***1/2 : buono-ottimo, ****1/2 ottimo-bellissimo
naturalmente questi simboli hanno una ragione d'essere solo se affiancati da una opinione che ne chiarisca meglio il significato.
P.S.S. Volevo solo giustificare il fatto che a volte sotto il mio nick viene data l'utilità ad una mia opinione. Non sono tanto narcisista! Semplicemente la mia compagna legge ciò che scrivo e se le piace (dipende... è molto critica!) mi dice di votare. Tutto qua.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta