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Un genio, due compari, un pollo

Regia di Damiano Damiani vedi scheda film

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La recensione su Un genio, due compari, un pollo

di giurista81
7 stelle

Western voluto e prodotto da Sergio Leone, sarà l'ultimo del genere che coinvolgerà il grande maestro che ha rivoluzionato il western segnando nuove vie da percorrere per l'Italia ma soprattutto per gli Stati Uniti. Esce nel momento di saturazione dello spaghetti-western, ormai superato d'interesse e di coinvolgimento del pubblico dal thriller e dal poliziesco e soprattutto piegato dalla parabola comica/demenziale ormai "vincente" agli occhi dei produttori. Leone non vuole però aggiungersi a questo filone, da lui odiato, tanto da non aver mai avuto in simpatia la saga Trinità, vista quale diretta responsabile della deriva comica del genere (come spieghiamo nel volume Spaghetti Western Vol.3 noi la pensiamo diversamente e si deve a Barboni la sopravvivenza, ancora per un po', del western all'italiana), e neppure Terence Hill. A poco servirono i tentativi del veneto di convincerlo a girare Il Mio Nome è Nessuno. Tre anni dopo Leone ci riprova e lo fa con lo sceneggiatore Ernesto Gastaldi, già padre del copione straordinario del film di Tonino Valerii. L'opera viene così plasmata quale sequel non dichiarato (salvo nel titolo della versione americana: Nobody's The Greatest) del precedente film, ma la regia va al serioso Damiano Damiani, vincitore della targa d'oro con Il Giorno della Civetta (1968) e ispiratore del tortilla western con Quien Sabe? (1966). Come non bastasse, anche se Gastaldi tende a negarlo, gira una sequenza anche Sergio Leone (un prologo in salsa horror, genere che avrebbe voluto fare ma poi mai farà, si dice addirittura con un copione in anticipo allo Shining di Stephen King) e persino il celebre aiuto regista del premio oscar Petri (oltre che del pisano Pontecorvo e di Lizzani celebre per Requiescant), Giuliano Montaldo, che cura la seconda unità negli Stati Uniti. Proprio così, perché il film si avvale delle scenografie mozzafiato della Munument Valley, già cornice nell'indimenticabile sequenza del viaggio di Claudia Cardinale con Stoppa in C'era una Volta il West (1968) incentrato, tra le altre cose, sul tema della ferrovia (progresso) che col suo avanzare cancella sogni e plasma la nostalgia per i vecchi tempi dell'epopea western. Tematica questa che si ripropone anche in Un Genio, due compari, un pollo, che può essere visto come mix tra Il Buono, il Brutto, Il Cattivo (tre soggetti che si contendono, per motivi diversi, un carico da 300.000 dollari rubato da un maggiore della cavalleria agli indiani), Il Mio Nome è Nessuno (personaggio di Terence Hill ricalcato sul precedente anche se dotato di un aura da Sartana, dato che si comporta da vero e proprio prestigiatore con velleità poetiche e pure dotato di poteri profetici che lo rendono assimilabile a uno stregone sgangherato e sopra le righe) e il citato C'era una Volta il West (la cornice). Omaggio anche a Butch Cassidy dove si sostituisce alla bicicletta (quale rivoluzionario mezzo di locomozione che i vecchi coloni non credono possa sostituire il cavallo) il treno definito "cavallo d'acciaio" visto come un qualcosa di fallimentare che mai, e poi mai, potrà rivoluzionare i mezzi di trasporto. 

 

Gastaldi vorrebbe fare una commedia che affronti con intelligenza il tema del razzismo, dell'integrazione tra popoli diversi (bella la battuta di Miou-Miou, nei panni di una sbarazzina con pensieri a luci rosse alquanto arditi, quando cerca di convincere Locomotiva Bill che non importa se lui abbia o meno un padre indiano, aspetto che il bandito non accetta come l'antagonista di Navajo Joe, perché ciò che importa è chi sta in alto, quel falco che simboleggia a fine film la volontà divina che sorveglia tutti dal regno dei cieli. "Bianchi, rossi, neri, che differenza fa? Siamo tutti figli di qualcuno, no?); Damiani invece gioca la carta della componente farsesca. Alla fine viene fuori un prodotto caratterizzato dalle dispute sul controllo del film tra Hill-Leone-Damiani e Gastaldi che danno vita a un quartetto geniale, non sempre capace di dare solidità e continuità sequenziale al narrato (si veda la bellissima e faresca sfida tra Kinski e Hill, col personaggio del polacco che sembra incarnare un ruolo centrale nella storia e invece va subito fuori scena, beffeggiato da Hill), l'uno contro l'altro, tutti alla fine insoddisfatti, ma a torto, perché il film si salva e come (nonostante il furto dei negativi che costringeranno a riparare su scene di riserva per ultimare il film altrimenti incompleto). Per il periodo, infatti, Un Genio, due compari, un pollo è uno degli spaghetti-western più riusciti e divertenti, poco importa se abbia meno serietà dell'atteso poiché si deve conoscere il contesto storico del genere. Terence Hill è ai massimi livelli, un indisponente e simpatica canaglia che ha in mano le sorti di tutta la storia e manovra a piacimento gli altri personaggi, così come fa con le carte da gioco sfilando le pistole dei dirimpettai senza che questi possano neppure sospettarlo (addirittura pesca quella di Kinski con una lenza!?). "Così mi hai ingannato senza avermi ingannato" dice alla fine Locomotiva (il cantante canadese Charlebois, che centra i bersagli con grande abilità, purché siano fissi poiché ha imparato a sparare al lunapark), che credeva di aver fatto il colpo sottraendo il carico all'amico-rivale e al maggiore della cavalleria che lo costringe a travestirsi da colonnello per truffare gli indiani (che, a fine film, si travestiranno a loro volta, come facevano i bianchi a inizio film spacciandosi per indiani come ne La Vendetta è un Piatto che si Serve Freddo del rivale storico, nei mafia movie, di Damiani ovvero Pasquale Squitieri, allo scopo di far ricadere sugli stessi le ire del popolo).  

 

Esilarante la sequenza al casino, con prostitute in vetrina manco si fosse in zona orange di Amsterdam, e Terence Hill che riesce a far riavere al prete (von Ledebur) il maltolto rubato nel prologo da Locomotiva che cercava di venderlo alla pappona per 100 dollari. Il bandito la prende male, "sei un figlio di puttana" dice, ignorando che le vere puttane sono tutte lì intorno. Il religioso, intanto, parla della parabola di San Paolo e tutti i clienti del casino iniziano a intonare "Gloria" come se si fosse in chiesa. E poi cosa succede? Succede che Hill, da canaglia terribile, pretende che i presenti, sceriffo compreso, diano un contributo in offerta ai più bisognosi. Accumula così 300 dollari (il triplo del valore della roba) e lo consegna a Locomotiva, senza però dimenticarsi di dare un dollaro al prete come offerta alla Chiesa. Bellissima l'espressione di quest'ultimo, completamente giocato dalla farsa del protagonista.  Sequenza più esilarante di tutto il film, come la pazzesca corsa finale con Hill che rincorre, nel cuore della Monument Valley, Charlebois, il tutto esaltato da una magnifica colonna sonora di Morricone. Damiani omaggia Ciakmull di Barboni, ma anche Oggi a me... Domani a Te! soffermandosi sui primissimi piani dei volti dei due che corrono all'impazzata, contendendosi come in una partita di football americano la valigetta con 300.000 dollari.

 

Finale spettacoloso ricollegato alla parabola del sogno raccontato in chiave poetica (e profetica) da Terence Hill, a inizio film, e che richiama la parabola del coyote e dell'uccellino de Il Mio Nome è Nessuno. Una storia che assume valenza metaforica, anche religiosa in parte (tema del Signor e dell'aureola), e rende ancor più smargiasso il personaggio che qua si chiama Joe Thanks. Da applausi la domanda di Charlebois, a fine film, che, sorpreso, si volge verso l'amico e gli urla: "C'è un falco... come hai fatto a metterci il falco?" Un epilogo che fa di Joe Thanks il protagonista di una storia che sembra aver scritto lui stesso, alla stregua di uno sceneggiatore che si erge protagonista della storia da lui stesso immaginata e poi tradotta in realtà, il tutto col placet, dall'alto dei cieli, di un regista che resta sempre velato dalle nebbie che agli occhi umani assumono la consistenza di nubi bianche baciate dai raggi del sole. Da vedere.

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