Regia di Richard Fleischer vedi scheda film
Avrebbe dovuto dirigerlo John Huston, ma a causa di divergenze con il protagonista, George C. Scott, il grande regista de “Il mistero del falco” abbandonò definitivamente il set dopo aver iniziato le riprese. Poco male, perché il suo sostituto, Richard Fleischer, ha firmato uno dei suoi film più convincenti, rivelandosi così all’altezza della situazione. “L’ultima fuga” è un noir malinconico, il cui personaggio principale, Harry Garmes, è un ex gangster americano trasferitosi in Portogallo in un piccolo villaggio di pescatori, Albuferia. Qui egli vuole dare un taglio netto al suo passato da criminale. Non anela altro che godersi la vita in santa pace, e per fare ciò si è scelto un bel posto tranquillo, lontano da tutto e da tutti. Desidera fare il pescatore, Harry, tanto è vero che si è perfino comprato una barca. Tutto questo, però, non riesce ad appagarlo pienamente. E’ come se gli mancasse qualcosa, e infatti più passano i giorni e più Harry si sente morire dentro. La tristezza lo assale inesorabilmente, fino a renderlo una persona profondamente infelice. La sua malinconia, probabilmente, è dovuta in gran parte al fatto che è rimasto quasi solo al mondo, dato che suo figlio è morto all’età di tre anni, mentre sua moglie, senza dirgli niente, un bel giorno se ne è andata piantandolo di punto in bianco.
C’è anche un’altra cosa però che contribuisce in maniera determinate a far sì che Harry sia un uomo particolarmente disperato: la mancanza del suo vecchio mestiere. Egli non è capace, insomma, di stare senza far niente. E poi, a parte un paio di persone, non ha più nessuno al mondo a cui importi qualcosa di lui. Gli unici amici su cui può contare, infatti, sono un pescatore, Miguel, a cui ha dato in affitto la propria barca, e una prostituta, Monique, da cui si reca per cercare un po’ di conforto e calore umano.
Poiché si rende conto che la vita da pensionato non fa per lui, Harry decide di ritornare a praticare il suo vecchio lavoro per il quale, dopo nove anni di inattività, nutre una grande nostalgia.
Accetta quindi un nuovo incarico, propostogli da alcuni tizi poco raccomandabili, che consiste nell’aiutare un evaso, Paul Rickard, a scappare dalla Spagna verso la Francia. Per l’occasione, il vecchio gangster rimette in sesto la sua macchina, una Bmw del 1957, e dopo averla tirata a lucido per bene provvede immediatamente ad assicurarsi che la stessa funzioni ancora a dovere (molto bello l’incipit che ci mostra George C. Scott impegnato a fare tutto ciò). Dopodiché Harry saluta Miguel e Monique, e si reca in Spagna per adempiere al proprio compito. Una volta che avrà recuperato l’evaso, nel viaggio verso la Francia si aggiungerà anche la ragazza di questi, Claudie Scherrer, della quale il vecchio gangster si innamorerà.
Un grande George C. Scott - semplicemente straordinario per la bravura con cui delinea il suo personaggio - è lo splendido protagonista di questo bellissimo film. “L’ultima fuga” è un noir crepuscolare, dolente e amaro la cui storia è completamente incentrata sulla figura di Harry Garmes, un ex gangster disilluso dalla (sua) vita.
Harry è un tipo inquieto, non è mai soddisfatto di niente, e inoltre è completamente incapace di stare fermo a guardare il tempo che passa: gli manca terribilmente l’azione che gli assicurava il suo vecchio mestiere, e perciò decide di ritornare a fare l’autista per i criminali come ai vecchi tempi.
Mentre lui era a riposo, il mondo è cambiato, e anche Harry, forse, non è più quello di prima: sta invecchiando, ed è perfettamente conscio di essere un perdente; ma nonostante la “ruggine” accumulata durante il periodo di inattività, egli è ancora capace di cavarsela egregiamente, perché è dotato di un carattere irriducibile, che gli consente di non arrendersi di fronte a niente e a nessuno, nemmeno all’età che avanza inesorabile, alla faccia di tutte quelle persone che invece lo vorrebbero mandare in pensione (tipo Rickard, che continua a sfotterlo chiamandolo “zio”).
La storia di Harry rappresenta il canto del cigno di un genere, il noir, che ha vissuto il suo massimo splendore negli anni Quaranta e Cinquanta: questo film, con il suo clima da “tragedia incombente”, è come se ci dicesse che ormai “non è più tempo di eroi”, e il finale tragico può essere considerato come un epitaffio al genere stesso.
La pellicola è scritta con pregevole asciuttezza da Alan Sharp, e ben diretta da Fleischer, il quale, più che sulle scene d’azione, che comunque non mancano, preferisce concentrarsi sulle psicologie dei personaggi, riuscendo in questo modo a delineare figure complesse e ricche di sfumature. Oltre al personaggio di Harry Garmes, risultano convincenti anche quelli di Paul e Claudie: il primo è un fuggiasco che, una volta scappato di prigione, verrà tradito dai suoi ex compari, e per questo sarà costretto ad una fuga - forse - senza fine; la seconda è la classica brava ragazza che per amore del suo uomo è disposta a fare qualsiasi cosa, anche a rinunciare ad una vita serena e tranquilla per intraprenderne una nella quale non sai mai se riuscirai ad arrivare a vedere l’alba del giorno dopo.
Per quanto riguarda gli attori, oltre al già citato George C. Scott, si dimostrano convincenti pure Tony Musante (Paul Rickard) e Trish Van Devere (Claudie Scherrer). Completano il fascino del film la struggente colonna sonora di Jerry Goldsmith e la bellissima fotografia di Sven Nykvist, le cui pennellate delicate fanno da perfetta cornice a questa tragica storia di un gangster sul viale del tramonto.
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