Regia di King Vidor vedi scheda film
A me francamente sembra che questo film sia stato piuttosto sopravvalutato, sia al suo tempo che oggigiorno.
Funzionale e gradevole, ma qua e là ipertrofica.
Quattro cose: regista, protagonista maschile, protagonista femminile e sceneggiatore. Può bastare.......
E' l'attore che esce meno malconcio da questo mezzo naufragio: il suo personaggio, persona estrosa ed estroversa,è da lui interpretato in modo estroso ed estroverso, senza mai, al contrario dei due protagonisti, cadere involontariamente nel ridicolo.
Rosalind Russell, per sua fortuna, un anno dopo questo film, trovò la sua vera strada in "Donne", in cui diede prova di una verve da commediante di grande talento. Nei ruoli drammatici come questo de "La Cittadella", la Russell certo fa tutto quello che deve fare, e anche bene, ma la sua figura allampanata e il suo vispo sguardo fanno sì che non si riesca mai a prendere veramente sul serio il suo personaggio, e si ha l'impressione che lei sotto sotto, mentre piange e si dispera, già stia pensando alla esilarante e perfida Sylvia Mahlinas di "Donne", in cui gli atteggiamenti e i "tic" dell'attrice assumono ben altro risalto e significato.
Anche per colpa del veramente infame nuovo doppiaggio italiano, eseguito su supporto di stridente secchezza,il personaggio del dottor Manson risulta qua e là veramente fasullo e superficialmente trattato. Robert Donat, lucente meteora che nel 1939 rubò con "Addio Mr,Chips" il premio Oscar al Clark Gable di "Via col Vento", fa del suo meglio per dar credibilità alla figura che interpreta, ma neppure lui sa bene in che chiave interpretare un personaggio strapazzato da una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti. Il suo film migliore per me rimane "Il fantasma galante" (ettecredo,con Renè Clair a dirigere....).
Vidor, gran regista, ci ha però abituato a notevoli alti e bassi di rendimento, per cui autentici capolavori si alternano a film veramente diretti con la mano sinistra. "La Cittadella" riassume un po' nella stessa opera queste due caratteristiche antitetiche, affiancando una pregevolissima e fedelissima ricostruzione ambientale dei miserrimi abituri dei minatori nella prima parte, a scene le cui risoluzioni sono fatte a tirar via. Involantariamente esilarante la scena in cui il giovin medico resuscita un neonato soffiandogli in faccia (...come a dire "Se l'ha fatto Dio posso farlo anch'io") e poi esce raggiante in strada gongolando "Ahh! Ora sono diventato un medico!" Anche lo studio psicologico dei due personaggi protagonisti procede a scatti, qua e là dando per scontate reazioni assolutamente inverosimili ma utili a far procedere meccanicamente la storia.Il finale arriva all'improvviso e in fretta senza dar modo ai personaggi di maturare le loro scelte: troppi ingredienti nella stessa pentola troppo piccola!
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