Regia di Krzysztof Kieslowski vedi scheda film
La vita fra i fili di un burattinaio beffardo ed invisibile, ma al contempo l'insieme frastagliato ed apparentemente incomprensibile delle nostre scelte passate, inserito in un contesto morale evanescente e spaventoso nella sua quotidiana, pacata follia. Fotografie di esseri umani che sono come maschere: viaggiano verso un domani di nulla, aspettando qualcosa che non accadrà, o qualcuno che non tornerà, che agiscono con meccanico rispetto delle apparenza, ma costantemente tormentati dall'inconoscibile non senso del proprio agire. Giudicare un'operazione simile non è semplice: le parti che la compongono sono troppo eterogenee perché possano essere considerate in modo unitario, ma d'altra parte è lo stesso regista a suggerire ripetutamente che si debba usufruire del tutto come se facesse parte di un unico discorso sull'uomo ed il suo rapporto con gli eventi di un'esistenza che stenta a comprendere. Kieslowski ha un senso dell'immagine importante (o comunque personale), che sorregge adeguatamente le fondamenta di spaventosa incertezza filosofica che sottostanno ad ogni episodio, ed ha come sempre una notevole capacità di direzione degli attori, ma tutto è essenzialmente ben più banale e gratuito di quanto voglia apparire. Si passa da episodi di una pretestuosità imbarazzante (Non nominare il nome di Dio invano, Ricordati di santificare le feste) ad altri infarciti di un didascalismo da scuola elementare (Non uccidere, Non commettere atti impuri), conditi da simbolismi talvolta criptici fino all'inconsistenza, altre volte blandi e telefonati. Il problema di base (che ritornerà anche nella successiva trilogia dei colori) sta probabilmente proprio nell'idea stessa di voler realizzare film urlatamente tematici, attaccati ad un'idea più saggistica che cinematografica, che difficilmente poteva conciliarsi in modo compiuto con una buona quadratura stilistica. In ogni caso le singole parti in sé sono tutto sommato abbastanza piacevoli.
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