Regia di Alessandro Blasetti vedi scheda film
Se i nomi "Ben-Hur" e "Quo vadis?" sono arcinoti nell'immaginario collettivo, laddove "Fabiola" rimane un titolo piuttosto oscuro, sia ai bibliofili che ai cinefili, sono convinto che ciò stia non tanto nei meriti e nella popolarità dei romanzi di origine, bensì nella sorte che tali storie hanno avuto al momento del loro trattamento cinematografico.
I primi due li trasposero sullo schermo gli americani: "Ben-Hur" nel kolossal silenzioso del '25 con Ramon Novarro, ancora spettacolare e a tratti delicato a guardarlo oggi, e poi ancora nel celebre polpettone del '59 (Heston e pioggia di Oscar compresi), "Quo vadis, dal canto suo, " fu campione di incassi assoluto nel 1951. "Fabiola", più modestamente, la trasposero al cinema i francesi e gli italiani, girando in bianco e nero.
L'Italia i kolossal li aveva inventati, negli anni 10, quando i film non parlavano e la loro circolazione internazionale era molto più semplice dato che bastava cambiare la lingua degli intertitles. L'avvento del sonoro e la conseguente blindatura dei mercati di lingua inglese, fino ad allora piuttosto abbordabili, rese tutto molto più difficile per l'Europa ma nonostante questo l'Italia sotto sotto non aveva mai rinunciato a riprovare a rifarsi un nome al riguardo. Ci provò durante il Ventennio, ci riprovò negli anni '50 cercando di copiare quello che facevano gli americani che venivano a girare a buon mercato a Cinecittà (prima che gli anni '60 li vedessero lasciare Roma per l'ancora più economica Spagna). E ci hanno riprovato anche nel '49 con questa "Fabiola", in una coproduzione con la Francia con alte ambizioni ed alto budget ma che non prevedeva, ahimé, il colore.
Ed è sufficiente confrontare questo "Fabiola" in bianco e nero al coevo "giocattolone" di De Mille "Sansone e Dalila", per avere immediatamente chiaro come il bianco e nero, suggestivissimo in altri generi di film, fosse una scelta svantaggiosa di fronte agli sfarzi in technicolor degli epic hollywoodiani. Basta provare a immaginare le migliori scene di "Fabiola" in una versione a colori per ricostruire mentalmente un film perfettamente in grado di rivaleggiare ad armi quasi pari con le produzioni di Oltreoceano. Sono sicuro che anche per questo "Fabiola", dopo il successo iniziale (persino americano, ne parlerò dopo), cadde poi nell'oblio, mentre tante altre pellicole del genere rimangono note, se non amate. ancora oggi.
E' un peccato, perchè questo film non manca di pregi. Innanzitutto una recitazione che in più punti è molto più sciolta, naturale, emozionale, rispetto a quella classica del genere. In secundis (e qui il b/n ha invece aiutato) manca quell'eccesso di kitsch che lo spettatore moderno non può che ritrovare in quelle pellicole, se non altro nei costumi, come rigorosa scuola costumistica italica vuole, molto meno pacchiani di quelli indossati dai vari Sansoni e Dalile a Hollywood.
Certo, non mancano neppure i difetti. La regia è in alcuni punti disomogenea.Alcune scene in esterno sono estremamente fresche e naturali , penso ad esempio a quelle che coinvolgono i due protagonisti sulla spiaggia in due occasioni, certo aiutate anche dalla gradevolezza estetica dei due, A queste si contrappongono in modo stridente alcune parti centrali del film in cui le riprese in interno (specie al senato) hanno un retrogusto teatrale, e nelle inquadrature ravvicinate che mancano di respiro, e nel rimbombo audio delle voci, che affossano il film a un gusto e a un'estetica simili a quelli dei film storici italiani di dieci anni prima o giù di lì.
Il finalone però, spettacolare ed emozionante, merita tutto,
La storia non è purtroppo sempre semplice e fluida da seguire: un po' perchè le lungaggini non mancano, un po' perchè dei 189 minuti originari del film il restauro del 2000 non è riuscito a rimetterne assieme che 163 (e anche per ottenere questi si è docuto ricorrere a brevissimi inserti dai master in lingua francese e inglese). E 26 minuti sono tanti,
Tra gli attori alcuni brillano in particolare: Michèle Morgane/Fabiola, affascinante, Paolo Stoppa, ancora sexy, Henry Vidal/Rhual (bel viso, bel fisico, bella interpretazione), Massimo Girotti/Sebastiano, che mostra tanto un fisico atletico quanto bravura di interprete e infine Gino Cervi, che con la sua recitazione ultranaturale porta un tocco di freschezza sempre sull'orlo però, in questo caso, dal risultare scollato dal resto del cast, più compassato. Da segnalare anche la presenza di Elisa Cegani/Sira, diva del Ventennio che riuscira a transitare la fine della guerra e rimanere ancora a lungo sugli schermi.
Il film fu accolto da un buon successo e, cosa quasi miracolosa, quando fu rilasciato negli USA, ben due anni dopo e in versione tagliatissima a 1 ora e mezzo, incassò 1 milione di dollari al botteghino americano. Se si guarda agli incassi del 1951, con "Un tram chiamato desiderio" a circa 5 milioni e il campione assoluto "Quo vadis" a quasi 12, si può dedurre che, fatte le debite proporzioni, 1 milione di dollari per un epic estero, per di più filmato in bianco e nero, non erano noccioline.
Insomma, forse non un "incotournable", come si direbbe in francese, ma per gli amanti del genere di certo da riscoprire.
(Per chi fosse interessato, il romanzo "Fabiola" (1854) su cui il film si basa blandamente, è, al 2013, ancora regolarmente in catalogo e acquistabile, edito dalle edizioni San Paolo)
fascino, carisma, bravura
indubbiamente bravo, porta nel film una recitazione spontanea e naturale, godibilissima ma sempre sull'orlo di risultare scollata da quella del resto del cast, sciolto anch'esso ma in modo più compassato. Emozionante la scena verso la fine in cui, inginocchiandosi di fronte alla figlia , cerca di impedirle di dichiararsi cristiana e andare al martirio.
bel viso, bel fisico, bella interpretazione
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