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Un uomo da bruciare

Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani, Valentino Orsini vedi scheda film

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La recensione su Un uomo da bruciare

di lamettrie
8 stelle

Un film serio sulla mafia, ben fatto e veritiero. Non sarà un capolavoro, ma è meglio guardare un film ben fatto su un argomento fondamentale, piuttosto che un film apparentemente egregio che tratta di tematiche irrilevanti o quasi. In più c’è Gian Maria Volonté in una della primissime apparizioni, lì a 29 anni, ma già perfetto come sempre, nel rendere le emozioni di un intelligente impegno urgente. È uno dei primi film di Orsini e dei fratelli Taviani: soprattutto è uno dei primissimi film sulla mafia, di cui nel ’62 semplicemente non si doveva parlare. Troppo importante era l’aiuto della mafia contro il socialismo, aiuto richiesto dall’America (ma era lo stesso aiuto richiesto anche prima, con il fascismo). Tanto importante  da dover essere coperto con l’omertà, caratteristica tanto facile da ottenere in quelle zone.

Tratta da una storia vera, la pellicola ha il merito di rappresentare realisticamente tutte le ingiustizie e lo sfruttamento della criminalità organizzata. La quale, qui si vede bene, non è il fenomeno chiuso che riguarda solo criminali in rapporto con altri criminali, o degli sbandati, un fenomeno che non può riguardare coloro che apertamente criminali non sono. Ma è un fattore di genesi quasi esclusivamente aristocratica (anche se questa ascendenza nobiliare si cerca di rimuovere il più possibile, sbagliando), il quale in realtà impegna in modo decisivo tutti: o si sta alle sue regole, o si rischia di morire di fame.

E il libero arbitrio, al fondo, è ridotto a quello che si ha con la pistola puntata alla tempia: quasi non c’è. E il sindacalista muore per questo. Notevoli, e purtroppo non fantasiose, sono le riunioni della cupola: anche se il paese è piccolo, lì il suo potere è assoluto, non ha rivali.

Storia vera, simile forse a mille altre (e il numero non è eccessivo, credo), che però non hanno avuto la fortuna di essere raccontate per il grande pubblico. Ma  ciò non toglie che, di tali storie non “privilegiate da una narrazione”, non ce ne doveva essere neanche una, non mille. Almeno in un paese apparentemente non terzomondista.

E ciò su cui lì ci si gioca i problemi di rilievo sono quasi tutti di tipo economico: lavorare otto ore anziché dodici,… Il coraggio dei pochi lavoratori disposti a rischiare molto, per protestare in gruppo, è commuovente: anche se votato all’insuccesso, visto a posteriori, ha un valore umano altissimo, di cui hanno beneficiato i contemporanei e gli epigoni, spesso pur senza saperlo.

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