Regia di Ernst Lubitsch vedi scheda film
Tradurre in sole immagini, per il cinema muto, un’opera di Oscar Wilde, la cui forza risiede nell’uso filosoficamente arguto della parola, può sembrare un’impresa paradossale, artisticamente improponibile, esteticamente criminosa. A meno di non saper estrarre, da quella sapiente mistura di chiacchiericcio da salotto e dialogo intimista, la vera essenza morale della storia, la particolare gradazione aromatica assunta, in questa vicenda, dall’ennesima provocazione antiborghese del famoso drammaturgo. La paura della verità è il terreno da cui, in questa pièce, si sviluppa, in molteplici forme, l’impenetrabile giungla dell’ipocrisia: il non dover sapere, il non voler vedere, il non poter parlare. I segreti resistono, e le apparenze rimangono intatte, in questo racconto in cui il tutto per bene assurge a necessità vitale: ecco allora che il silenzio e gli atteggiamenti esteriori divengono le dimensioni espressive più acconce a presentare un’umanità variamente recitante, impegnata in un melodramma di facciata, in cui la finzione è un’autentica sfida per la sopravvivenza. L’assenza del sonoro crea quell’atmosfera acquatica in cui i gesti e la mimica si dilatano e si deformano per assumere le sembianze viscide e molli dell’ambiguità, tra pensieri trattenuti, azioni accennate, parole affiorate sulle labbra e subito estinte. Tutto è elegantemente sfumato, come il confine tra cattiveria e bontà, che i canoni sociali cercano invano di trasformare in un fossato, mentre la realtà dei sentimenti continua tranquillamente a transitare, invisibile ed indisturbata, da una sponda all’altra. In questo film il leggendario tocco alla Lubitsch è un diteggiare ritmico, e quasi musicale, che si posa sui personaggi per accendere e spegnere le loro figure, facendole apparire e scomparire, decretandone il successo o la disgrazia, il prestigio o il disonore, azionando un interruttore che con un clic fa volgere ogni cosa nel suo contrario. Questa magia registica è un autentico prodigio di saggezza, prudenza ed equilibrio, ed è una raffinata ventata di armonia che non ci fa rimpiangere, del testo originale, le memorabili boutade (“So resistere a tutto, tranne che alle tentazioni”) e le geniali metafore sulla vita (“Noi tutti abitiamo nello stesso mondo, e il bene e il male, il peccato e l’innocenza lo attraversano tenendosi per mano. Chiudere gli occhi su una metà della vita per vivere in sicurezza è come accecarsi per poter camminare più sicuri in una terra di fosse e precipizi.”)
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