Regia di Robert Bresson vedi scheda film
Fra le mostruosità generate dal dio dei cristiani, ecco una storia davvero esemplare: una ragazzina che, nel quindicesimo secolo, preda del delirio mistico farnetica di sentire voci dei santi, che ovviamente nessun altro sente, e un tribunale ecclesiastico che decide arbitrariamente della sua vita, bruciando viva l'adolescente dopo un processo-farsa condotto in maniera sommaria. Giovanna d'Arco aveva soltanto 19 anni (!) quando, nel 1431, trovò la morte fra le fiamme alimentate dall'amore di Cristo verso gli esseri umani, un sentimento così caritatevole da permettere a dei folli di ritenersi onnipotenti e, sempre nel nome del Signore, giudicare un'indifesa ragazzina come eretica e ucciderla a sangue freddo con una fra le torture più crudeli immaginabili. Osservandone intanto la lenta agonia, pervasi da un sottile orgasmo alimentato dalla succulenta visione di morte. Questo è ciò che Bresson vuole portarci a pensare, con la logica conclusione: che cosa è cambiato nel frattempo? Vale la pena indignarsi per qualcosa accaduto cinque secoli or sono? Ebbene, certamente sì: perchè l'umanità non è affatto cambiata e l'ottusità che guidava i giudici del Quattrocento non è tanto diversa da quella - per fare un esempio ficcante e a quei tempi recente - dei boia nazisti. Con l'unica differenza che 'got mit uns' questa volta era solo un blando pretesto. Le scelte di messa in scena sono ormai quelle consuete per il regista, ma perfino estremizzate: una narrazione sfiancante che passa per lunghe inquadrature fisse, ritmi soporiferi, dialoghi spartani, interni claustrofobici, un bianco e nero desolante, una protagonista sola, indifesa, abbandonata in una battaglia più grande di lei, con in più un quasi totale azzeramento delle musiche e nessuna ombra di speranza nel finale (cosa mai accaduta finora nei lavori del cineasta francese): in totale si tratta di un film molto, molto più ostico di qualsiasi altro realizzato da Bresson in precedenza. Il senso di angoscia pervade lo spettatore lungo tutta la pellicola: questa protagonista non è solo una vittima dell'ignoranza e della superstizione, ma è anche un simbolo ben preciso, quello dell'ineluttabilità della 'missione' cui si è chiamati esistendo, sia pure una missione apertamente suicida come quella narrata nel film. Per quanto non sfiguri, Florence Carrez non può certo competere con la Renée Falconetti di Dreyer (La passione di Giovanna d'Arco, 1928), così come il quadro storico delineato da Bresson è ancora nulla in confronto al lavoro puntiglioso che compirà negli anni '90 Rivette con il suo Giovanna d'Arco. Da apprezzare ad ogni modo, oltre che per la durata contenuta (poco più di un'ora), per l'onestà artistica del prodotto: già dalla didascalia iniziale il regista e sceneggiatore avverte che si tratta di un film costruito attorno ai verbali del processo a Giovanna d'Arco e a quelli relativi alla sua riabilitazione, avvenuta 25 anni più tardi. Incredibilmente (data la sferzata polemica contro le assurdità del cristianesimo) premiato a Cannes con l'Ocic, riconoscimento cattolico già ottenuto da Bresson per il Diario di un curato di campagna. 6/10.
Ricostruzione del processo a Giovanna d'Arco, condannata al rogo nel quindicesimo secolo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta