Regia di Robert Bresson vedi scheda film
Giovanna d'Arco fu arsa al rogo nel 1931 all'età di 19 anni sotto l'accusa di eresia e stregoneria. Il film di Robert Bresson si concentra sulla fase del processo e della condanna a morte ad opera di un tribunale ecclesiastico presieduto da Pierre Cauchon, seguendo fedelmente gli atti storici che ne danno precisa testimonianza (per la cronaca, Giovanna d'Arco venne beatificata nel 1909 da Pio X, canonizzata nel 1920 da Benedetto XV e dichiarata patrona di Francia).
Il processo di Giovanna d'Arco - Florende Delay
Di solito i film "processuali" (sono talmente tanti che potrebbe parlarsi di genere a se) hanno un punto di forza nella spettacolarizzazione dell'impianto narrativo, in quelle cose come la ricerca studiata del momento della suspance o del colpo ad effetto, espedienti che servono a tenere desta l'attenzione dello spettatore che altrimenti rischia di inabissarsi nella monotona reiterazione di lunghi soliloqui forensi. Niente di più diverso da questo schema per Bresson, che ancora una volta si pone in una dimensione altra rispetto ai canoni consueti, confermandosi come un capofila di un modo di fare cinema che, per chi scrive, può essere eguagliato ma difficilmente superato. L'antispettacolarità è un credo a cui il maestro francese non si è mai sottratto, mostrando una coerenza che non è mai stata il frutto della stupida incapacità di saper rivedere posizioni date, ma la logica conseguenza di una tensione morale più attenta alle cose dell'arte che a quelle del mero intrattenimento. Per "Il processo di Giovanna d'Arco", il suo obiettivo è fisso sullo sguardo della Pulzella d'Orleans (interpretata da Florende Delay), fiero e sofferente insieme, un'entità aliena in un un mondo che non può intendere la valenza morale della sua misteriosa missione. Lei, una contadina analfabeta, confessa candidamente di aver avuto conversazioni con Santa Caterina e Santa Margherita e di essere stata spinta da Dio a combattere gli inglesi oppressori per ridare la Francia ai francesi. Le ragioni della fede e quelle della politica si intrecciano ma a Bresson interessa condurci dentro l'agonia delle sue ragioni, farci intendere la nitidezza di dialoghi che palesano la contrapposizione tra chi agisce in buona fede in virtù di un credo che si è disposti a difendere fino al martirio, e chi, invece, condanna in ragione di un pregiudizio imposto dalla ragione del più forte. La Giovanna d'Arco di Bresson si pone oltre la sua posizione contingente, oltre la descrittività di un evento particolare per assurgere a simbolo di tutte le battaglie contro la volgarità del senso comune. Le catene su cui Bresson indugia continuamente, prim'ancora di essere quelle che chiaramente tengono legata una condannata a morte, rappresentano la prigione della ragione, la chiusura mentale di un mondo ammalato di oscurantismo, incapace di comprendere tanto i connotati di un mistero di natura eminentemente religiosa quanto lo spirito patriottico di una missione dalla forte valenza temporale. Le ritroviamo nel bellissimo finale quelle catene, attorno al tronco arso da un fuoco "purificatore". Aspettano altri corpi ed altre menti da imprigionare. A mio avviso, da un uomo di fede come Bresson si ricava uno dei più limpidi ritratti di speranza laica che il cinema ci abbia mai offerto. La rivoluzione nella fierezza di uno sguardo. Capolavoro di sacro rigore stilistico.
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