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All That Jazz. Lo spettacolo comincia

Regia di Bob Fosse vedi scheda film

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La recensione su All That Jazz. Lo spettacolo comincia

di LorCio
10 stelle

Ambizione di una certa categoria di registi è quella di realizzare il proprio 8 e ½. Il capolavoro di Federico Fellini è tale anche perché è la miracolosa sintesi di cosmo e microcosmo, di profondità universale ed interesse ombelicale, di grandi temi umani e piccoli psicodrammi intimi. Woody Allen ne ha dato la sua versione negli anni ottanta con Broadway Danny Rose, ritratto di una crisi, e tanti altri registi, alcuni dichiarandolo ed altri nascondendolo, si sono rifatti all’autoanalisi artistica di Fellini (la celebre “masturbazione di un artista”, come disse Morandini).

 

Ma colui che meglio ha omaggiato il maestro è sicuramente Bob Fosse, che cinematograficamente parlando resta il miglior autore di musical dai tempi di Gene Kelly e Stanley Donen a tutt’oggi, che costruì questo magico carosello sul progressivo crollo psicofisico di un coreografo dedito a donne, alcol ed eccessi vari, nonché di grande successo. È un evidente autoritratto per niente celato di Fosse stesso, la cui passione e il cui coinvolgimento esplodono con viscerale prevedibilità da subito: ne è venuto fuori un film praticamente perfetto da un punto di vista tecnico (Oscar a scenografie, costumi, montaggio e colonna sonora, ma lodi anche alla fotografia scintillante di Giuseppe Rotunno) e meravigliosamente malsano sotto il profilo narrativo, con flashback e visioni oniriche che ne sottolineano la dimensione a metà tra la realtà e il sogno.

 

Roy Scheider, scavato e segnato dalla vita scellerata del suo personaggio, è magnifico nel rappresentare l’alter ego (super ego?) di Fosse, che si ritrova a dialogare con una angelica Jessica Lange come in un qualunque Settimo sigillo: qui la morte gioca a dadi con una vita esagerata, passando in rassegna gli errori e le inadeguatezze di un’esistenza non molto lunga ma abbastanza intensa, seducendo il moriturus e mettendolo di fronte al destino ridicolo di coloro che hanno vissuto troppo l’ambizione di superare se stessi.

 

Un film autodistruttivo, commovente per quanto è disturbante e malinconico, elegantissimo e fluido nell’orchestrazione di numeri musicali, monologhi e dialoghi con le tre donne della vita (l’ex moglie devota, la figlia adolescente e l’amante giovane e premurosa), aspro nella constatazione del fallimento e liberatorio nell’attenta, raffinata e pignola messinscena dei balletti. Un grande film soprattutto di regia, poco celebrato e straordinariamente sincero e spietato.

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