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Basta che non si sappia in giro!..

Regia di Nanni Loy, Luigi Magni, Luigi Comencini vedi scheda film

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La recensione su Basta che non si sappia in giro!..

di lamettrie
9 stelle

Una commedia straordinariamente divertente. Come anche notevolmente sottovalutata. Dopo il ’68 è stata liberalizzata anche la tematica sessuale, che qua viene letta in maniera intelligentemente satirica.

Il primo episodio, di Nanni Loy, è eccezionalmente comico. Ruota sulla grande interpretazione di Monica Vitti, donna comune sommersa dalle sue frustrazioni e dalla mediocrità della vita quotidiana. Fa quasi commuovere (poiché non è affatto inverosimile) la necessità che ha di evadere. Lo fa tramite un immaginario erotico che è spinto in modo eccellente dalla sceneggiatura. Memorabili le scene in cui la semplice dattilografa sogna di avere ragione di un manipolo di marinai assatanati, così come quella in cui fa “rinsavire” torme di omosessuali.

Il secondo è ugualmente notevole, a firma di un altro grande regista sottovalutato come Loy, ovvero Luigi Magni. È l’episodio più impegnato politicamente, a suo modo. C’è il tema tipicamente sessantottino del potere che reprime: qui ad essere represso è il bisogno sessuale dei carcerati, bisogno che da sempre ha trovato gli sfoghi più bizzarri. Qui gli sceneggiatori Age e Scarpelli (lo sono anche del precedente episodio) utilizzano a sorpresa la sodomizzazione del secondino, un bravissimo Manfredi. La finezza di questo pezzo si ravvisa quando mette alla berlina il tabù che, dell’amore omosessuale, avevano per tradizione i maschi e la società italiani. Il machismo latino viene ridicolizzato: il rapporto sessuale gay sarebbe la peggiore delle sorti per il secondino. Questi preferirebbe farsi tagliare la mano. Sua moglie si offre come oggetto sessuale in quanto pedina di scambio, pur di non vedere compromesso l’onore. Splendida anche la galleria dei burocrati all’italiana: grande Lino Banfi come tronfio direttore del carcere, che  mostra come la serietà sia solo di facciata, per chi vuole far carriera in Italia; il prete che non va oltre le parole (memorabile Banfi che lo invita sostituirsi al secondino, poiché «lei il martirio ce l’ha per vocazione»); il sottosegretario alla giustizia, che finge di risolvere tutto con un discorso grottesco, il cui tono però andava di moda nel terribile stile della Democrazia cristiana. Questo stile negava ogni evidenza, non affrontava nulla in modo serio, e credeva di spuntarla solo grazie alla confusione delle parole, studiate per far apparire una cultura sontuosa, e mascherare la falsità intellettuale che realmente giaceva al fondo. Il classico azzeccagarbugli, a corredo di un quadro che era nelle corde di un De Andrè (basti pensare al suo “Gorilla”).

Nel terzo frammento Comencini è più sciolto e boccaccesco del suo solito. Il pur innocuo Manfredi attende una prostituta, ma arriva una Vitti che invece gli deve vendere dei libri. La prostituta arriverà dopo. Ma nel frattempo la grande attrice romana sciorina grandi brani, specie nel classico della sua maschera, così realistica, della bellona non all’altezza del suo aspetto, in quanto ansiosa e insicura. Qui si punta il dito sui tanti possibili complessi che si possono aggrumare attorno alla propria dimensione sessuale, nuocendo alla propria persona.

Tre grandi registi; ottimi gli attori (Manfredi e Vitti sono circondati da caratteristi all’altezza), gli sceneggiatori, e le musiche di Armando Trovajoli. Ritmo sostenuto, da commedia che fa pensare proprio perché sa far ridere, soprattutto su questo: i mali reali di un’educazione bacchettona e bigotta, e perciò repressiva.

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