Regia di Costa-Gavras vedi scheda film
È uno di quei film che ti fa provare vergogna. Non tanto perché ti senti responsabile, ma perché ti fa vergognare di appartenere alla stessa comunità degli uomini di cui fanno parte anche certe persone. Capita con i film sull’olocausto, sulle grandi tragedie. Missing ritorna all’archetipo del cinema civile: lo è allo stato puro, perché denuncia con durezza ed oggettività, sdegno e cognizione di causa qualcosa di devastante ed indicibile che coinvolge tutti indistintamente proprio a causa del suo valore etico, della sua importanza morale, della sua urgenza di non (far) dimenticare.
Costa-Gravas, almeno nella sua stagione d’oro, è stato un maestro del genere: qui è alla prima prova americana, e grazie alla maggiore disponibilità di mezzi riesce a coniugare l’evidente necessità del racconto che attinge al reale con la commestibilità cinematografica della narrazione tout-cort, permettendo di far avvicinare anche i più scettici ad una storia così necessaria. Al centro c’è la scomparsa di un giornalista americano in un paese sudamericano (i riferimenti sono tutti al Cile di Pinochet, mai citato per proteggere i protagonisti della faccenda, che rievoca un fatto realmente accaduto) in cui è appena avvenuto un golpe militare, che ha gettato il Paese nella paura e nella violenza.
Alla vergogna del potere schifoso, laconico e reticente, rispondono l’appassionata ed impegnata moglie (una splendida Sissy Spacek) e il disperato padre del giornalista. Proprio il padre assume un ruolo centrale, perché la scomparsa del figlio è l’occasione per capire cosa non ha funzionato e cosa ha funzionato nel loro rapporto, cosa si sono detti e cosa non si sono voluti dire in anni di parentela, l’opportunità per capire davvero chi sia quel figlio scriteriato scappato in Sudamerica per seguire certe strani passioni: alla fine la conclusione è ancora più inaccettabile proprio per quel padre così tenacemente deciso a recuperare un figlio perduto senza una vera ragione.
Jack Lemmon è indimenticabile nell’interpretare questo controllato e robusto signore profondamente religioso e ancorato ai propri principi morali, che viene a poco a poco travolto da uno squallido mare di bugie, sangue e falsità a cui difficilmente si riesce a credere (Palma d’Oro a Cannes come miglior attore, così come la vinse il film). E nei suoi occhi pronti a sgorgare lacrime, nei suoi gesti alla ricerca di un senso, nel suo non riuscire più a gestire la situazione cerchi di aggrapparti per non farlo sentire solo di fronte allo schifo, come nell’inquietante stadio colmo di persone indesiderate al regime, come nelle stanze shock in cui i cosiddetti desaparecidos sono gettati senza pietà e senza vita come carne al macello. Alla fine piangi perché non sai come reagire di fronte a tutto l’inesauribile orrore, ma vorresti tanto urlare, urlare, urlare.
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