Regia di Terry Gilliam vedi scheda film
Un film turbinoso, costato enormi sforzi economici e creativi, che rimane però un po' squinternato ed esibizione di invenzioni fine a se stessa.
E' un film frenetico, caotico e debordante, che sfugge in certi momenti di mano a Terry Gilliam, il quale si sentiva forse esaltato dall'enorme budget che doveva avere a disposizione. Questa almeno la mia spiegazione per una pellicola nella quale si intravvede il genio del suo creatore, ma in cui non posso fare a meno di imbattermi nei difetti.
A differenza del capolavoro “Brazil”, il turbine di eventi funziona solo a corrente alternata; accanto a momenti ed episodi felici, notiamo infatti dialoghi che girano a vuoto, eccessi veri e propri (come la testa volante e smorfiosa di Robin Williams), ed episodi inutili. Tra gli episodi migliori, invece, ricordo quello del dio Vulcano e dei suoi lavoratori schiavizzati, il cui regno è appunto una metafora della moderna organizzazione del lavoro nelle grandi aziende. Evidentemente è un terreno caro al regista, il quale coglie innegabilmente le contraddizioni e l'ipocrisia di facciata delle moderne filosofie aziendali provenienti dagli Stati Uniti.
All'epoca uscì come film per bambini-ragazzi, e io lo andai a vedere. Mi ricordo però come non capii praticamente niente. La stessa abbondanza di riferimenti all'attualità e alla storia è un altro elemento che lo rende poco commestibile per i più giovani. Tra l'altro, il mito dell'Illuminismo, della Rivoluzione Francese e dell'uso della ragione viene piuttosto preso a calci; nella visione di Gilliam, l'uomo è stato ugualmente stupido in tutte le epoche, e forse ancor più nella presente.
Tra gli attori ricordo Sarah Polley bambina e Uma Turman ragazza, decisamente bella. L'ambientazione è vaga ed accessoria (una cittadina europea assediata dalle armate islamiche); ciò che conta è la fantasia a briglia sciolta, le bizzarrie, e il vortice in cui si viene risucchiati. Ma non coinvolti, almeno per quello che mi riguarda.
“Brazil” lo rivedo sempre con grande piacere, ma per questo “Munchhausen” due volte in tanti anni sono già abbastanza.
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