Regia di Houda Benyamina vedi scheda film
Divines – La Recessione.
Osannato dal pubblico al Festival di Cannes con più di sei minuti di applausi e premiato al Festival di Toronto: quando lo staff della Recessione ha scovato il film Divines, era sicuro di trovarsi di fronte a un prodotto di qualità e spessore, una possibilità anche per noi ignoranti di periferia di assorbire un po' di cultura. La pellicola ci mostra la vita di Douana, una ragazza di origini rom, e subito veniamo investiti dalla fiera dello stereotipo; sì, perché la protagonista, come ovvio, vive in un campo nomadi in situazione disagiata, con tanto di madre alcolizzata/rincoglionita e, per chiudere il cerchio del classico rom disagiato, non poteva mancare lo... zio?, transessuale. La giovane rom, svogliata e sboccata, ha come migliore amica Maimouna, ragazzona di colore figlia dell'imam del quartiere, parte di una famiglia bigotta perché, come abbiamo visto in tantissime pellicole, i religiosi sono sempre dei bigotti che obbligano i figli a seguire tradizioni antiquate e rifiutano qualsiasi tipo di dialogo. Le due adolescenti dei quartieri bassi cercano un cambio di rotta nella loro vita triste da quartiere periferico, e qual è l'ideona che viene a Douana? Fare la spacciatrice! Ed è qui che ci troviamo davanti all'ennesima carrellata di stereotipi, perché non bisogna per forza essere cresciuti in un quartiere disagiato per avere un'idea anche vaga di come funziona lo spaccio, basta aver dato un'occhiata a qualsiasi episodio di Gomorra per sapere/capire che lo smercio di droga funziona in tut'altra maniera. O forse siamo noi italiani che, grazie al nostro genio, abbiamo inventato un metodo più funzionale anche in questo campo. Oltra alla visione scolastico-perbenista dello spaccio, non poteva mancare la storiella d'amore che porterà la protagonista a scegliere tra amore e amicizia; una storia surreale, dove abbiamo un ballerino che, da vero artista, si esprime con la danza, perché le parole sono scontate, con quell'atteggiamento troppo alternativo che dovrebbe piacere ai gggiovani, quelli che con tre g, il tipico ragazzo fisicato con tatuaggio che ha il grande sogno di fare il ballerino. Ovvio, anche lui viene dalla strada e deve migliorarsi e riscattarsi dalla sua condizione sociale. Qualsiasi riferimento ad un qualsiasi film di ballo è puramente casuale. Per non farci mancare niente e non tralasciare nessun tipo di protesta sociale, ci viene mostrata anche la rivolta di quartiere, innescata dalla ragazzina per gioco; perché i banlieu francesi sono luoghi pericolosi e la regista non voleva tralasciare questo messaggio. Motivazioni sociali? Nessuna, non ci viene mostrato niente, solo della gente che si incazza perché gli viene comandato da un'adolescente. Come se le persone protestassero e spaccassero tutto così, per partito preso, senza nessuna vera motivazione. Altro che oppressione sociale, disoccupazione e cazzate varie. Pensare che nei quartieri difficili che conoscio, se fai arrivare la polizia ti prendono a calci in culo fino alla pensione. Molti hanno scritto di questo film parlando di perfezione, paragonandolo a pietre miliari come West Side Story, invece ci siamo trovati davanti alla fiera dello stereotipo, una specie di documentario per mostrare alla gente per bene come vivono i diseredati poveracci di periferia, tutta gente che sopravvive grazie a espedienti di dubbia legalità ai margini della società. Così dagli attici in centro e dall'interno delle loro macchine tedesche si sentono più documentati su come vivono zingari e neri. Una pellicola che cerca di nascondere la miriade di banalità proposte allo spettatore sotto il manto di denuncia sociale, riuscendo per lo più ad annoiare senza lanciare un vero messaggio concreto. O forse uno c'è davvero: questi poveracci rivoltosi le sfighe che hanno un po' se le meritano.
per insulti anche non costruttivi.
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