Regia di Nathan Morlando vedi scheda film
Mean dreams è un film molto appariscente senza però possedere la solidità necessaria per reggersi sulle sue gambe.
Ostinato, e volonteroso, nel mostrarsi, riesce a regalare rapsodie quasi sempre annacquate da debolezze proprie di un film manchevole di consistenza.
L’adolescente Casey (Sophie Nelisse) è appena arrivata con il padre poliziotto (Bill Paxton) in un paesino di campagna dove conosce Jonas (Josh Wiggins) con il quale l’intesa è immediata.
Quel padre, che in prima battuta pare essere amorevole, si rivela essere tutt’altro e Jonas non può accettare questa realtà finendo insieme a Casey in un’avventura pericolosa per le strade d’America.
Con un sogno, vedere l’oceano.
In partenza, il film di Nathan Morlando ha il sapore del racconto di formazione sentimentale, ma ben presto è arricchito con connotati di tutt’altro tenore sfociando con sempre più assiduità nel thriller.
Questo, senza dimenticare elementi narrativi di supporto, ad esempio, se le figure dei padri, pur essendo agli antipodi, ne escono malconce per non dire massacrate, la speranza è relegata negli adolescenti, obbligati a prendere le redini del proprio futuro per cambiare un mondo corrotto e deviato.
Ottima l’attenzione alla natura, con largo utilizzo di colorazioni ambientali autunnali, tendenza al giallo-marrone della vegetazione e cielo perennemente plumbeo mentre si sogna l’oceano come sbocco di libertà in antitesi a una realtà occludente.
Purtroppo, nella continua sovra esposizione, peraltro ricercata in ogni modo possibile, a colpi di scena sempre più ad effetto, si scade nelle svolte più estreme e difficilmente conciliabili, si lambisce anche il ridicolo, con una frenesia espositiva che porta nei primi minuti a una conoscenza che diventa amore e alla trasformazione di un padre da amorevole a violento senza un tessuto valido a supporto (in pratica, sarrebbe già un film ma troppo ristretto).
Difetti non da poco per un thriller che per essere efficace avrebbe bisogno di un congegno a orologeria anche se non manca la tensione che esplode ripetutamente; in questo aiuta un effervescente, feroce e consumato, da alcol, potere e denaro, Bill Paxton (e Colm Feore viaggia su una lunghezza d’onda non molto distante).
Premettendo che come visione casalinga ha i suoi pro, inserito in un filone festivaliero non può che risultare schiacciato nei suoi difetti, troppo evidenti per poter soprassedere a cuor leggero.
Così che, pur possedendo del fascino e delle qualità, appare prima di tutto tremendamente pericolante, a volte proprio scriteriato.
Rimandato, seppur a malincuore.
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