Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film
Il giovane Redmond Barry, nel Regno Unito di metà ‘700, vive con la madre vedova in un villaggio rurale dell’Irlanda. La sua spregiudicatezza ed il particolare ingegno lo portano a vivere una vita decisamente avventurosa, passando per l’esercito britannico, poi per quello prussiano, infine sposo di una giovane vedova, Lady Lyndon, dalla quale acquisisce il cognome, ma soprattutto il figliastro Bullington.
Poderosa parabola sul potere e compendio sugli equilibri politici e sociali.Ma soprattutto affresco di matrice pittorica del ‘700 inglese, che mai nessuno prima e dopo è stato in grado di eguagliare per dovizia e precisione. La notoria meticolosità di Stanley Kubrick raggiunge con “Barry Lyndon” lo status di perfezione estetica. L’ardua ricerca filologica alla base della preparazione di questo celeberrimo film in costume porta ad una ricostruzione scrupolosa dell’Inghilterra di Giorgio III, attraverso un’accuratezza estetica che rasenta la freddezza, un distacco asettico dalle vicende che si fa quasi (rin)negazione dei contenuti.
Paradossalmente è come se Kubrick avesse voluto immortalare un periodo importante della storia inglese tirandosi fuori da ogni artificiosità e consentendosi soltanto l’uso di macchina da presa e microfoni. I costumi, ricostruiti dopo anni di scrupolosi studi su libri, quadri e stampe d’epoca, fruttarono un meritato Oscar, così come la fotografia, pervicacemente e pericolosamente priva di lampade e di qualsiasi fonte di luce artificiale: gli esterni vengono illuminati dalla mera luce naturale, gli interni prendono luce dalle candele o dalla luce che penetra attraverso le finestre. Una scelta estrema, che alla lunga pagò e che ancora oggi rappresenta il principale elemento distintivo e l’aspetto del film più peculiare.
Esteticamente e tecnicamente, Kubrick accentua fino a estremizzare il concetto di “prospettiva centrale simmetrica”, ossia quella che inquadra con precisione chirurgica le scene ponendo al centro esatto dell’obiettivo l’elemento principale inquadrato (portoni d’ingresso, comandanti di plotone, protagonisti in scena). Si dice spesso che un regista si possa giudicare da dove e come piazza la macchina da presa: questo concetto vale ancora di più per Stanley Kubrick, capace di trovare la mattonella migliore ad ogni inquadratura, capace di dare enfasi silenziosa alle scene più importanti con armonici zoom indietro della camera e prodigandosi in movimenti di macchina lenti e sontuosi.
L’impatto leggero sulle vicende e l’uso della luce naturale la dice lunga sulla filosofia con cui Kubrick si approcciò al film: il suo è un approccio realista, quasi pittorico, come a fotografare senza importunarlo il personaggio nel suo habitat, per un trattato di sapienza tecnica che ha pochi eguali.
Al solito fondamentale l’uso delle musiche, per cui il regista utilizza brani non originali, riprendendo Handel o Bach per un’asfissiante, continua sottolineatura di un film che appare come un’efficace ed armonica partitura. Il tutto, per un’opera complessivamente sfavillante che lascia a bocca aperta.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta