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Barry Lyndon

Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film

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La recensione su Barry Lyndon

di pippus
10 stelle

La misura del necessario è data dalla bisogna: ma a quale misura ridurre il superfluo?

Pertanto si immergono (gli uomini dediti a vizi ed eccessi n.d.r.) nei piaceri e, abituatisi, non possono più farne a meno riducendosi in condizioni davvero misere perché arrivano al punto in cui quello che era superfluo per loro è diventato necessario. Sono schiavi dei piaceri, non ne godono e, culmine dei mali, amano i propri mali; l’infelicità poi è completa quando le azioni turpi non solo attraggono ma piacciono e non c’è più alcun rimedio quando quelli che erano vizi diventano abitudini. Stammi bene.”

Lucio Anneo Seneca, paragrafo 6 lettera 39 a Lucilio.

 

                                                                 -Premessa-

 

Che dire, sta alludendo a Redmond il buon Seneca scrivendo questa epistola a Lucilio? Ci azzecca al punto da far sorgere il dubbio che lo conoscesse, o quantomeno ne avesse sentito parlare (e l’abbia forse inviata, oltre che all’amico, per conoscenza anche al primo)! Però i tempi non collimano, ci sono ben 17 secoli a dividerli. Peraltro, dando per scontato che non abbia potuto trarre spunto da un’anteprima del film di Stanley, non rimane che una certezza…c’erano dei “Redmond”, o presunti tali, anche ai suoi tempi!

Battute a parte, parrebbe proprio di ritrovare qualcuno di nostra conoscenza nella categoria a cui allude il saggio filosofo stoico ex tutore di Nerone e, in effetti, i commenti in tal senso abbondano ma, dopo ponderate riflessioni nonché alcune visioni di questo eccelso capolavoro ( nel mio caso, ammetto, indispensabili per una progressiva rettifica di opinione che nell'immediato risultava eccessivamente condizionata dalla seconda parte, quella meno edificante per Redmond ), sarei giunto a conclusioni parzialmente contro corrente, quindi vorrei tentare, se non un’apologia in sua difesa, almeno una parziale riabilitazione analizzando obiettivamente i pregressi e le esperienze che il fato aveva tenuto in serbo per il baldo e giovane rampollo, orfano dell’avvocato Barry.

Prima riflessione: quali erano le intenzioni di Kubrick nei confronti di Redmond? Non stiamo disquisendo di una vicenda realmente vissuta, quindi l’autore (Thackeray in primis, ma ora mi atterrei al solo Stanley anche in considerazione delle libere interpretazioni e modifiche da quest’ultimo apportate all’originale) non penso abbia elaborato un’accozzaglia di situazioni esteriormente slegate tra loro per indirizzarci verso facili conclusioni di condanna, ma, sottile conoscitore delle fluttuanti dinamiche psicologiche da cui l’uomo è in misura variabile inevitabilmente condizionato, ha perseguito un filo verosimile atto a delineare alcuni cruciali anni di un giovane irlandese le cui non comuni prerogative lasciavano ben sperare; senonché…

Occorre procedere con criterio tenendo quindi presente come il Maestro si sia dimostrato non solo arguto nelle tematiche riguardanti la personalità del singolo, ma quanto le “apparenze” influiscano nella normalità dei rapporti umani, evidenziando come non sia tutto oro quello che brilla e, nel contempo, non siano tutti escrementi quelli che nell’immediato potrebbero apparire tali.

Forse, meno palesemente ma, siamo di fronte ad un altro “psicofilm “ al quale negli anni  seguiranno altri validi esempi, e non sfugge che nell’eterogeneità delle sue opere la costante sia rappresentata dall’analisi dell’uomo con le sue debolezze, vizi, avidità e ipocrisie che lui stesso, commentando “Lolita” aveva avuto modo di esprimere con le parole: ” Il bene e il male non hanno le forme che ci aspettiamo”!

In “Barry Lyndon” calzano a pennello le parole di Oscar Wilde riportate ne “La Ballata del Carcere di Reading” dove il drammaturgo inglese

(estrapolando) scrisse:

” Eppure ogni uomo uccide ciò che ama.
Alcuni uccidono adulando, ad altri
basta solo uno sguardo d'amarezza.
Il vile uccide mentre porge un bacio
e l'uomo coraggioso con la strage!
Molti uccidono l'amore da giovani,
altri invece da vecchi”.

 

Redmond paradossalmente si potrebbe definire vittima di una nemesi in parte a lui dovuta ma, altresì, non totalmente dipendente dal suo operato che inizialmente definirei tutt’altro che anodino. La sua indole è decisa e scevra da tentennamenti, oltremodo sprezzante delle ingiustizie quanto scarsamente incline a tollerare atteggiamenti di prepotenza o comunque sleali; è un ragazzo ambizioso e di bella presenza che negli accadimenti in cui deve districarsi cerca di capire, non senza un po’ di confusione, quale atteggiamento e quali strategie seguire per ottimizzare la sua esistenza nel contesto sociale del ‘700 che, non scordiamolo, sovente non prevedeva vie di mezzo tra i cenci della plebe e i fasti dell’aristocrazia.

 

Tralasciando la trama, ormai a tutti nota, nel redigere questa mia analisi proseguirei dapprima con le “considerazioni” più sopra iniziate, seguite da alcune “riflessioni” e “deduzioni” sulle vicende narrate e, in ultimo, con le conclusioni a cui seguirà una parentesi di nicchia riservata agli appassionati di fotografia (o non necessariamente tali ma semplicemente desiderosi di conoscere) date le eccezionali e non convenzionali strategie tecniche a cui Kubrick fece ricorso.

 

scena

Barry Lyndon (1975): scena

--Proseguendo con le prime--

 

Non siamo di fronte al classico “feuilleton” con netta contrapposizione tra buoni e cattivi, qui tutti hanno in percentuale variabile un’appartenenza all’una o all’altra categoria, e questo status appositamente ricercato dalla regia potrebbe facilitare la formulazione di ipotesi sulle intenzioni riservate da Kubrick alla figura di Redmond ma...potrebbero non essere quelle giuste!

Come sopra accennavo, è nota caratteristica kubrickiana quella di sondare l’animo umano considerando ogni sfumatura che possa condizionarne il comportamento, quasi a voler escludere la possibilità del far parte congenitamente dei “buoni” o dei “cattivi”, limitandosi a evidenziare la maggiore o minore predisposizione a tali innate caratteristiche che, dovendo inevitabilmente fare i conti con le vicissitudini imponderabili della vita, daranno luogo infine a una eterogeneità a largo spettro con possibilità praticamente nulle di occuparne gli estremi. Arriverei a formulare l’ipotesi che questa metodologia mirata a indagare i recessi più nascosti e insondabili della psiche sia prioritaria su ogni altro aspetto della pellicola, comprese le vicende in esse narrate.

 

[Ci ritroviamo tutti a essere il prodotto delle nostre caratteristiche genetiche (genotipo) sommate alle esperienze vissute nonché all’educazione ricevuta (potremmo impropriamente definirlo fenotipo personalizzato) e, a questo proposito, riflettendo su me stesso rapportandomi a Redmond, sono oltremodo convinto che sarei potuto potenzialmente essere molto diverso da come invece sono se solo i miei trascorsi fossero stati altri da quelli realmente vissuti. Non mi è dato sapere come mi ritroverei oggi se fossi cresciuto in un contesto di depravazione ed espedienti malavitosi, difficilmente sarei qui a scrivere su film tv!]

 

Stanley scaglia la pietra nello stagno e gli spruzzi che ne originano sono tangibili ed evidenti, un po' meno ma di più lunga durata sono le piccole increspature che dal punto di impatto si dipartono circolarmente provocando un leggero ma percettibile rollio a tutto ciò che galleggia intorno.

Occorre riconsiderare Redmond, che tipo era e cosa aveva in serbo per lui il corso degli eventi.

 

--Arrivando alle seconde: “riflessioni e deduzioni” sulle vicende--

 

Il corso della seconda parte tende a obnubilare ciò che si era visto nella prima; avete a mente le prime sequenze? Il Redmond del dialogo con Sara alla cui perentoria “ingiunzione” di ricerca del nastrino non riesce a ubbidire? Parrebbe di tutto fuorché un poco di buono! E il Redmond coraggioso e volitivo del “brindisi di fidanzamento”? Non avrei dubbi nel credere che in tali frangenti la platea sia stata totalmente dalla sua parte; per non parlare del duello con il capitano Quinn, valoroso ufficiale dell’esercito inglese la cui espressione da “Bel Moncada”, in cui deglutisce sbigottito al rifiuto delle scuse da parte di Redmond (che gli avrebbero permesso di evitare il duello salvando nel contempo la "faccia"), palesa la profonda differenza di carattere tra i due contendenti.

La serie di vicissitudini nel corso dei successivi eventi rientrano fra le esperienze che solo se vissute in prima persona permettono di comprendere a fondo lo stato d’animo indotto dalle stesse; occorre quindi immedesimarsi il più possibile nel protagonista per ottimizzare la comprensione delle sensazioni da quest'ultimo provate, non essendo semplice fruirne in veste di distaccato e passivo spettatore.

Non solo Redmond ha saputo meritare la fiducia del capitano Grogan – suo padrino nel fatale duello con Quinn - ma è vittima di una serie di raggiri e azioni poco edificanti, prima da parte di Nora e poi dai di lei fratelli con lo scherzetto del finto proiettile (senza il quale, non scordiamolo, non sarebbe stato costretto alla fuga). Pur non essendo ancora conscio del duello-bluff, la rapina subita lungo la strada per Dublino per mano dei due raffinati briganti avvalora successivamente in lui la convinzione di vivere in un mondo di furbi, opportunisti e malfattori (e lui al momento non rientra in nessuna di queste tipologie); tesi che dopo l’arruolamento avrà modo di rinsaldare con maggior convinzione, non senza episodi volti una volta di più a rivelare il suo coraggio e la sua abilità nel corso delle svariate sequenze in cui non esita ad affrontare gli occasionali avversari, sia a mani nude che con le armi.

 

--Le esperienze iniziano a incidere sull’indole del giovane Redmond Barry--

 

La passione per la complessità del comportamento umano, condizionato dalla fatalità degli eventi, induce il Maestro a mischiare le carte volutamente con un susseguirsi di “colpi al cerchio e altri alla botte” rendendo tutt’altro che facile schierarsi a favore di colui che pare essere a volte ingenuo e rispettoso e altre volte calcolatore e opportunista. Il Redmond propostoci manifesta ben presto atteggiamenti non proprio immacolati per cui, non smaniando per la vita militare i cui  rischi e disagi non sono troppo nelle sue corde (e men che meno risulta interessato alle motivazioni della Guerra dei Sette Anni, quella successivamente definita da Churchill la prima vera guerra mondiale), alla prima occasione non esita a “risolvere” la situazione accelerando il suo congedo in maniera non proprio ortodossa ma efficace.

Nonostante ciò, seppur pervenuto in maggior misura a una smaliziata condotta di vita, il suddetto non rinuncerà (se non forse con Lady Lyndon) a un certo qual rispetto per il prossimo, o più correttamente queste sarebbero le sue intenzioni, ma il suo impeto non sempre glielo permetterà. Lo vediamo ad esempio piangere e confidarsi dinnanzi allo Chevalier e, poco dopo, da questi istruito a dedicarsi con successo all’arte “Robin Hoodiana” di prelevare il superfluo alla ricca borghesia per alleviare lo status dei “poveri ma belli”, quale lui si considerava, partendo dal presupposto che anche i nobili oggetto dei “prelevamenti” non fossero dispensati dalle stesse remore sull’origine delle loro ricchezze; motivo sufficiente ad attenuare l'importanza che l’escamotages preposto a tale scopo fosse totalmente esente da critiche moraleggianti!

Il bacio scambiato sulla terrazza con Lady Lyndon, epilogo di complici sguardi nel più totale silenzio, passerà sicuramente agli annali del cinema, seppur proprio da questo promettente cambio di situazione inizieranno le peripezie del futuro Redmond Barry…Lyndon. Poco dopo le nozze, Kubrick ci palesa i prodromi dell’imminente odissea ma, tra le cause di quest’ ultima non deve sfuggire che - oltre a una ingenuità di fondo di Redmond - le dissennate iniziative finanziarie atte ad acquisire un titolo nobiliare e culminate nell’ironica frase di Re Giorgio 3° a tutti nota, non originano dal suo sacco ma da quello della madre, donna calcolatrice e arrivista alla quale la sceneggiatura riserva peraltro un atteggiamento non dissimile da quello che potenzialmente avrebbe potuto pianificare la maggioranza delle madri, a parità di lignaggio e contesto.

Tralasciando i successivi funesti accadimenti, Redmond si rivelerà un padre affettuoso e premuroso nei confronti del piccolo Bryan, ma non altrettanto nelle vesti di marito nei confronti della moglie, forse a dimostrare in primis a se stesso di aver maturato un’immunità sentimentale dopo lo “scotto” giovanile con Sara.

Vedendo e rivedendo le sequenze, in alcuni atteggiamenti famigliari che a volte parrebbero privi di quel buon senso che pure normalmente manifesta nella quotidianità, quello proposto dal Maestro si potrebbe ritenere un Redmond bipolare, e solo in seguito alla morte di Bryan, con conseguente inevitabile prostrazione e depressione di entrambi i genitori, lo spettatore sarà in grado di giustificare con verosimiglianza quanto viene proposto dalla regia.

Le “iniziative” del novello Lyndon nei confronti di Lord Bullington non sono sempre un esempio di tolleranza e signorilità, peraltro – seppur non potendo negare la bontà delle ragioni sbandierate dal piccolo Lord - nel contempo non possiamo non notare il modo e l’atteggiamento ostile e poco propenso al dialogo di quest’ultimo, quasi a evidenziare – oltre a un fondo di gelosia - un' aprioristica antipatia del nobile nei confronti di chi nobile non è.

L’epilogo, come l’inizio del film, verte sulle conseguenze di un duello nel quale a uscirne sconfitto questa volta è Redmond ma…è bene soffermarsi un attimo sulla vicenda.

Con il ferimento dell’odiato patrigno (di cui non c’è traccia nel romanzo ) Kubrick, a riprova di quanto fin qui scritto, ci ripropone un episodio ambiguo, ovvero il tiro accidentale a terra di Lord Bullington a cui, signorimente e intenzionalmente, Redmond risponderà allo stesso modo senza però ottenere l’effetto sperato, anzi, Bullington, meschinamente e biecamente, ne approfitterà non rinunciando al tiro successivo con tutto ciò che ne conseguirà.

Come dobbiamo inquadrare questo finale? Un Redmond troppo buono che con il suo eccessivo altruismo è artefice della propria decadenza?  O forse, più prosaicamente, un Bullington anche lui infettato da quella umana meschinità che ne opacizza la trasparenza inizialmente esibita? Un Bullington che riesce quindi, attraverso una subdola azione, a tornare unico erede di casa Lyndon?

Unica certezza l’espressione di Lady Lyndon nell’ultima sequenza quando firma la cedola per Redmond, nei suoi occhi la nostalgia …e non parrebbe solo per il piccolo Bryan!

La presunta avidità (di cui non sono del tutto convinto) e l'innegabile ambizione di Redmond sono forse colpe più biasimevoli di quelle ostentate da una buona percentuale degli altri comprimari? O piuttosto potremmo considerare le sue come le normali traversie che il destino gli ha riservato attraverso l'imponderabilità del futuro ?

Personale opinione: non sosterrei una sua totale riabilitazione ma, dopo opportune e ponderate riflessioni, avverto validi segnali per intravedere il Redmond voluto da Stanley ben diverso e non così negativo come lo stesso Stanley tenta di farci credere mettendoci alla prova con "l'inganno" dell'affrettata emotività iniziale !!!

 

 

--(Non brevissime) conclusioni—

 

Come in “Magnolia” di Anderson, il nostro passato fornisce le basi per il nostro futuro, esso torna sempre allo scoperto e si pagano, inevitabilmente, nel bene e nel male le conseguenze delle proprie azioni. E’ sufficiente una fatalità o un piccolo cambiamento di programma per incidere irrimediabilmente sul futuro (come la scelta “a rischio” del colpo a terra di Redmond).

Il problema consiste talvolta nell’impossibilità di avere una seconda chance per rimediare all’avventatezza, o all’eccessiva “leggerezza”, con cui si sono affrontate le situazioni pregresse (con attinenza forse marginale, ma mi vengono in mente Truffault e Wong Kar-Wai del quale per il momento ho visto poco ma letto qualcosa in più)

 

Un'opera fortemente “estetica” il cui sfondo è il periodo pre-rivoluzione dell’Illuminismo, dove Redmond e gli altri intorno a lui si muovono in modo totalmente diverso rispetto a quanto fin qui visto nelle opere in costume . Di certo “Barry Lyndon” (il film) non rientra cinematograficamente nei canoni ortodossi del contesto citato, siamo su altri livelli per i dettagli, le scene, il trucco (avete presente il Principe di Tubinghen o il Reverendo Runt oltre agli altri?) in grado di originare una seduzione forse non per tutti e, come realmente avvenuto, non nell’immediato. Sono note le peculiarità, ma vorrei sottolineare per gli estimatori della fotografia i campi lunghissimi da visibilio, con zone d’ombra generalmente diffuse a mezzo campo allo scopo (al pari dei dipinti ispiratori del ‘600 e ‘700 ) di enfatizzarne l’effetto ottico. La definizione che mi è capitato di leggere da qualche parte di “fantascienza rivolta al passato” è indubbiamente azzeccata in quanto, non disponendo di testimonianze dirette né di filmati originali, con i soli dipinti e reperti storici il genio della regia è riuscito ad amalgamare la sua con la nostra immaginazione. Potremmo accingerci a vedere il film considerando di accedere a un museo dove la staticità delle opere esposte è sostituita dai calcolati e sinuosi movimenti della m.d.p. (eccezionali i lenti zoom-out che già nel ‘75 anticipavano i moderni effetti dei software di presentazione immagini) oppure, al contempo, potremmo “ascoltare” il film a occhi chiusi - come ho sperimentato personalmente -, i brani di Bach, Mozart, Schubert, Handel e altri riorchestrati da Rosenman (compresi quelli originali eseguiti dai “The Chieftains”) sono assolutamente sublimi.

Un paio di mesi fa, in occasione del mio sessantaseiesimo compleanno, i figli hanno avuto la divina illuminazione di regalarmi un prezioso cofanetto con, oltre all’opera omnia del Maestro, un interessante documentario sulla sua vita ed opere (S.Kubrick “Life in Picture” ) e qui ho preso visione di una serie di interviste e curiosità oltremodo interessanti che sarebbe inopportuno riportare in questa sede, ma vorrei comunque segnalarne alcuni eloquenti estratti:

S.Spielberg: “ Una parte di Stanley è ancora un gran mistero”! (Avvalorando la nostra convinzione)

J. Nicholson:” Tutti riconoscono che sia il Maestro”! (Non abbiamo dubbi).

Milena Canonero (Oscar per i costumi):” Stanley voleva qualcosa che ricordasse certi pittori dell’epoca e mi mandò in tutte le case d’asta che trattavano costumi d’epoca, così potemmo usare alcuni costumi originali del periodo”.

Con queste parole la conferma di una certezza, non c’era nessun elemento lasciato al caso, la nota pignoleria di Stanley era incontenibile, prorompente e, per alcuni, sconvolgente!

Al pari dell’eterogeneità delle sue opere, non amava confermare lo stesso attore protagonista per cui, tuttalpiù, nei suoi film possiamo ritrovare gli stessi interpreti in ruoli marginali o comunque non di primo piano (ad esempio Patrick Magee, Chevalier de Balibari in “Barry Lyndon”, interpretò il Frank Alexander di “Arancia Meccanica”). Non solo, in una intervista riportata sullo stesso dvd, Malcolm Mc Dowell asserisce di aver invano tentato di mantenere quello che sembrava un rapporto di confidenziale amicizia stretto con Kubrick durante le riprese di “Arancia Meccanica”, ma nulla da fare, stranamente quest’ultimo per sua congenita  forma mentis non ne volle sapere, finito il film finito il rapporto!

 

-- Nota-

Impossibile non prestare attenzione al curioso epitaffio in chiusura :

” Buoni o cattivi, belli o brutti, ricchi o poveri, ora son tutti uguali “. Certamente la morte tutto appiana ponendo fine a ogni vicissitudine che siano state da noi provocate o dovute al caso, ma mi pare strano che Stanley abbia riportato una frase all’apparenza così banale senza un motivo valido, seppur meno evidente. Meditando sulla questione, azzarderei un paragone sull’uguaglianza post mortem / pre mortem, no di certo sullo status sociale ma sugli scheletri nell’armadio che tutti (proprio tutti) i personaggi del film “vantano” al loro attivo, metafora quindi potenzialmente rivolta anche a noi indistintamente.

In fondo vedo in “Barry Lyndon” un’ulteriore conferma – come sempre avvenuto prima e dopo - che l’origine delle nefandezze, degli espedienti e dell’egoismo dell’ “ Homo Sapiens” consista nel secondo dei due termini (sapiens). E’ pura retorica, ne sono consapevole, ma questo non impedisce di poter pensare che senza tale termine non avremmo risposte né domande, compresa quella di fondo che a volte mi pongo: la consapevolezza di sé che ci distingue (e che ne consegue) potrebbe forse considerarsi oltre che il nostro privilegio anche il nostro castigo? La razionalità mi obbliga a rispondere che paradossalmente non sarebbe da escludere !

 

scena

Barry Lyndon (1975): scena

                                                            

--Il capolavoro di Kubrick è tale per una serie di validi motivi: la vicenda, l’eccelsa colonna sonora, il trucco, i costumi, le interpretazioni, ma un aspetto veleggia ancor più in alto inebriando lo spettatore attraverso le vette stratosferiche della settima arte, alludo all’empirea fotografia assolutamente unica e non convenzionale per le scene in esterni e...ancor più per gli interni. E da appassionato in materia su questi ultimi apro quindi una...

 

--Parentesi tecnico/fotografica sugli escamotages messi in atto da Stanley per "vedere al buio"!

 

"Barry Lyndon" conquista quattro Oscar: costumi, scenografia, colonna sonora e fotografia;

delle prime tre ho scritto qualche cenno (i loro pregi sono a tutti noti ), la quarta, non certamente sconosciuta ai cultori dell’argomento, merita invece qualche parola in più.

Stanley lavorò in giovane età per la rivista Look (famoso il suo scatto in cui riprese l’espressione malinconica dell’edicolante il giorno della morte di Roosevelt) dove ebbe modo di imparare tutti i trucchi e le malizie legate all’utilizzo dei vari obiettivi con relative lunghezze focali, per cui, nel momento in cui decise di trasporre “Barry Lyndon” su pellicola attinse a queste sue conoscenze, oltre che alla sua…astuzia.

Kubrick al telefono con John Calley presidente della Warner Bros: ”John, hai una di quelle cineprese BNC che usavamo per il trasparente?”

Calley:” Perché?”

Kubrick: ”Motivi sentimentali… vorrei comprarne una se me la puoi procurare”.

Dopo essersi informato, Calley lo richiamò per dirgli che ne aveva ancora un paio! Risposta di Stanley: ”Fantastico, mi piacerebbe molto averle”, e così gliele spedì entrambe per poi, sei mesi dopo, sorbirsi le lamentele di Gottschalk (direttore della Panavision) il quale, non troppo entusiasta, andava sbraitando che quelle cineprese erano uniche, di incalcolabile valore, le migliori in assoluto e, anche se al momento non più utilizzate, un vero gioiello di progettazione ed esecuzione purtroppo ormai irreperibili!

Quel volpone di Stanley lo sapeva e, altro che motivi sentimentali, quelle erano le uniche cineprese in grado di essere modificate per ospitare i tre gioielli dell’ottica di cui era venuto in possesso e con i quali sperava di poter riprendere - utilizzando una speciale pellicola Kodak ad alta sensibilità - le scene in interni con la sola luce delle candele.

Le ottiche: in primis un chiarimento, non sono state prodotte dalla NASA, ma quest’ultima negli anni ’60 aveva ordinato alla Carl Zeiss dei particolari obiettivi 50 mm molto luminosi (apertura 0.7, tale da permettere una sensibilità superiore a quella dell’occhio umano) da utilizzare nel corso del Progetto Apollo in abbinamento a fotocamere derivate dalle famose Hasselblad 500 EL , le Hasselblad  “spaziali” caratterizzate dal lucente corpo metallico anziché nero come i normali modelli in circolazione (di queste ultime ebbi la fortuna di provarne una all’epoca, non di acquistarla dati i costi proibitivi).

Kubrick, venuto a sapere che la Zeiss produsse dieci esemplari ma che solo sei di questi andarono alla NASA, riuscì ad accaparrarsi tre dei quattro rimasti (uno lo tenne la Zeiss).

Purtroppo il super obiettivo (del peso di quasi due kg) non era compatibile con il corpo della cinepresa BNC (che tra l’altro non era reflex ma a mirino ottico, cioè esattamente come il mirino delle vecchie fotocamere poket  a pellicola, attraverso il quale tutto appariva a fuoco e, per regolare quest’ultimo, occorreva ruotare le tacche della ghiera riportanti i cm o i mt di distanza dal soggetto)

per cui si rivolse al super tecnico Ed Di Giulio (quello che insieme a Garrett Brown inventò la steadycam) “imponendogli”, con tanto di abbozzi tecnici, di risolvere il problema! Senza dilungarmi troppo sulle questioni tecniche incontrate e risolte da Di Giulio (mi sono documentato in rete e gli interessati possono fare altrettanto, garantisco è stato un vero capolavoro di bricolage) vi riporto la più artigianale di tutte:

montato l’obiettivo sulla BNC, non c’era modo di conoscere cosa sarebbe stato a fuoco e cosa fuori fuoco (nel mirino, come sopra accennato, tutto appariva a fuoco, e la ghiera con le tacche metriche era sparita insieme all’obiettivo originale della cinepresa) per cui non c’era altro modo se non quello di effettuare vari test di ripresa prendendo nota di volta in volta della distanza. Dopodiché, sviluppando i vari spezzoni di pellicola fino a ottenere una discreta sicurezza delle varie posizioni in cui il soggetto era risultato a fuoco, non rimaneva che riportare queste ultime - finalmente - in cm sulla nuova ghiera della BNC. Il risultato fu entusiasmante e, avendo tre obiettivi a disposizione, su due di essi Di Giulio adattò due diversi  aggiuntivi ottici per “allargare” l’angolo di ripresa mantenendo il valore 0,7 di luminosità (di questi grandangoli che ridussero la focale da 50 rispettivamente a 36,5 e 24 mm, Kubrick utilizzò solo il primo - oltre al 50 - in quanto il 24 distorceva un pochino negli angoli). Risultati entusiasmanti come nessuno si sarebbe aspettato di ottenere, con un unico piccolo “scotto” da pagare: la profondità di campo (zona utile di messa a fuoco) ridottissima dovendo operare alla massima apertura di 0.7 in particolare con il 50 (un po’ meno critica con il 36,5 per i motivi che meglio avevo disquisito nella mia sul “Revenant” di Inarritu) che obbligò gli attori a recitare il più fermi possibile, evitando in particolare i movimenti di avvicinamento/allontanamento (sul piano sagittale) dalla cinepresa. Un esempio su tutti, durante le sublimi sequenze in casa di Lischen (a mio parere la più bella donna del film), si può notare come, nelle riprese con lei di spalle e Redmond di fronte (o viceversa), la messa a fuoco risulti accettabile esclusivamente sull’immagine del viso ripreso, mentre la nuca dell’uno o dell’altra risultano completamente fuori fuoco. Questo significa che la “zona ok" non superava i venti cm e occorreva molta attenzione a non “sbordare” (non oso immaginare quante riprese abbiano richiesto tali sequenze in mano a Stanley).

 

Bene, nutro la speranza con quanto sopra di stimolare in qualcuno il desiderio di rivedere il film sotto una nuova “ottica”, magari rivalutandone la precedente opinione.

 

P.s: un’ ultima curiosità potenzialmente rivelatrice del coinvolgimento affettivo/emotivo di Ryan O’Neal nei confronti del personaggio: il suo quarto figlio (nato nel 1985 e l’unico avuto dalla  sua ultima compagna Farrah Fawcett )

si chiama REDMOND !

 

 

scena

Barry Lyndon (1975): scena

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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