Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Ridley Scott realizza una sorta di opera testamentaria che raccoglie molto dei suoi grandi classici fantascientifici e lo fa con una sceneggiatura piuttosto colta giostrata su un copione di genere. Scott semina rimandi letterari (Percy Shelley), musicali (Richard Wagner) e ovviamente cinematografici. Parte da Prometheus (2012), di cui Alien: Covenant è il sequel, per omaggiare palesemente il primo Alien (1979), soprattutto nella parte finale, con un filo conduttore che rimanda ai filosofeggiamenti di Blade Runner rappresentati da un androide che si ribella all'uomo e sogna di trasformarsi in un Dio. C'è anche uno scontro tra androidi che fa pensare al secondo regista della saga Alien ovvero James Cameron e il suo Terminator II. Sarà proprio l'androide ribelle (che si differenzia dai più evoluti perché capace di autodeterminarsi e di creare) a far proliferare gli Alien, risultato di un virus deliberatamente liberato in un pianeta alieno abitato da esseri dal retrogusto olimpico (bello l'anfiteatro attorniato da statue).
Fotografia freddissima, piuttosto cupa, in una visione scenografica paradisiaca che si trasforma presto in inferno. Non a caso, da un punto di vista visivo, offre il meglio di sé nelle scene di esplosione ed è firmata da Dariusz Wolski direttore della fotografia di prodotti estremamente cupi quali Il Corvo (1994), Dark City (1998) di Proyas, Sweeney Todd (2007) di Burton e già avuto da Scott per Prometheus. Bellissima la sequenza della contaminazione iniziale, per effetto di spore che determinano una mutazione genetica da cui si libera, dall'interno dell'uomo, il mostro. L'azione non tarda a manifestarsi e tocca il suo top proprio nell'ingresso in scena dei primi due alien. Grandguignol e gore non mancano. Scott gira e rappresenta il tutto con gusto di genere.
Ordinari gli attori.
Il budget di 97 milioni di dollari garantisce fondi a sufficienza per costruire un film sul versante tecnico decisamente qualitativo. Pecca sugli sviluppi narrativi. I colpi di scena sono telefonati e il finale è ultra citazionista. Resta comunque un grande omaggio ai mitici anni ottanta.
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