Regia di Rupert Sanders vedi scheda film
Adattamento piuttosto deludente ma comunque in linea con le mie aspettative, peraltro piuttosto basse.
Prodotto principalmente dalla Dreamworks di Steven Spielberg insieme a Paramount Pictures, Arad Production, Amblin Partners & Relience Entertaiment (manca qualcuno?!) e basato sul manga di Masamune Shirow & l'omonima pellicola animata di Mamoru Oshii per una sceneggiatura (inizialmente) di Jaime Moss, poi sostituito da Laeta Kalogridis a cui succedette William Wheeler e a cui seguirono, secondo quanto affermato da Wheeler, altri cinque sceneggiatori per un risultato finale (!) che fu accreditata poi alla coppia Jonathan Herman & Jaime Moss (e questo spiegherebbe molto della natura schizzofrenica del progetto) e affidato a un (pessimo) mestierante come Rupert Sanders, questo Ghost in the Shell (partito decisamente male fin dalla sua genesi) è stato confezionato unicamente per essere un enorme spettacolo conforme alla concezione più commerciale di cinema d'intrattenimento, capace di stupire il pubblico con grandi effetti visivi ma completamente privo di un'anima.
La pellicola originale di Mamoru Oshii è uno dei capolavori della fantascienza animata ma è anche un'opera seminale, quasi una nuova religione per qualcuno, estremamente ermetico e complesso per altri, stratificato a più livelli e con fascinazioni complesse e articolate, e che attraversa diverse tematiche filosofiche e metafisiche, su che cosa è davvero umano o su cosa ci definisce come tali.
Invece il regista Rupert Sanders (probabilmente non proprio la scelta più oculata ad occuparsi di questo progetto) innesta nella storia originale molti elementi più consoni ad un punto di vista occidentale, forse in quanto consapevole del gap culturale e tematico tra l'animazione giapponese e i blockbuster hollywoodiani, e cerca una complessa e difficile commistione di generi, prendendo un po' da uno e un po' dall'altro.
Gli snodi narrativi rimangano pressoché invariati, con alcune aggiunte e un finale parzialmente cambiato (e non in meglio) e confeziona quindi una storia che gioca tra la trama investigativa più action, ovvero la caccia al cyber-terrorista Kuze (un irriconoscibile Michael Pitt), e la ricerca del passato del Maggiore e i tanti misteri sulla sua identità, più contemplativa e vagamente "esistenzialista".
Vengono riproposti gli spunti visivi più iconici ed esteticamente più futuristici ma perdendosi al contempo parte della fascinazione originale, ovvero quella di metropoli decadente di un futuro che sta già invecchiando, in favore di un kitsch più estremizzato e urlato.
Per il resto certe tematiche vengono invece semplificate, altre tradite, i dialoghi non riescono a sopperire ad una sceneggiatura che sembra costruita su iconici momenti traslati tali e quali dalle opere originali ma in un contesto differente, e legate stancamente insieme alla bene e meglio in un "guscio" esteticamente anche (!) affascinante ma non particolarmente originale, privo di una vera emozione.
Un'opera quindi in cui c'è (forse) lo "Shell" ma che manca (sicuramente) del "Ghost".
Buona la prova di Scarlett Johansson, non soltanto per il notevole impegno fisico (la Suit invisibile del Maggiore è comunque l'effetto speciale migliore del film!) ma anche per l'onesto tentativo di riportare il tormento e il vuoto del suo personaggio.
La controversa spinosa del whitewashing, immancabilmente cavalcata dai vari siti e giornali alla disperata ricerca di attenzione e consenso dal pubblico, viene invece affrontata dalla produzione e dal regista attraverso una fastidiosa dinamica narrativa nella storia della protagonista dai risultati alquanto imbarazzanti, quando vi si poteva tranquillamente passare sopra per la natura sintetica di un essere comunque costruito in un laboratorio e dalla natura variamente cosmopolita della metropoli futuristica.
Un’ultima nota personale: Ghost in The Shell e Blade Runner sono due delle opere fondamentali del genere cyberpunk prodotte negli anni '80 (il manga di Shirow è del'89) ed è curioso che, quasi in contemporanea, oggi ne vengano realizzate la versione in live Action del primo e, dopo 35 anni, il seguito dell'altro, come se a Hollywood improvvisamente abbiano deciso di ritornare a guardare al passato - e a un ben specificato passato - per reimmaginare il futuro.
Forse la fantascienza attuale non è in grado di dare quelle risposte, anche di pubblico, che Hollywood sta ostinatamente cercando di trovare?
O forse è proprio quel tipo particolare di fantascienza (crepuscolare, ansiogeno, decadente) che, oggi più che mai, ci appare sempre più attuale?
VOTO: 4,5
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