Regia di Sang-ho Yeon vedi scheda film
Nel 1968 il padre putativo degli zombie moderni George A. Romero con il suo La notte dei Morti Viventi realizza un’opera seminale caratterizzando la sua pellicola (e quanti lo avrebbero poi seguito) con un denso messaggio socio-politico parlando non soltanto di morti viventi e della lotta per la sopravvivenza ma anche delle differenze di classi in un’america con grossi problemi razziali e sociali.
Nel 2013 con Snowpiercer il regista coreno Bong Joon Ho ottiene invece un enorme successo internazionale realizzando un racconto dispotico in cui in un mondo ghiacciato tutto ciò che resta dell’umanità sopravvive su un treno perennemente in corsa e segnato da vagoni suddivisi in base all’estrazzione sociale dei suoi occupanti e ai conflitti che ne conseguono.
Nel 2016 un altro regista coreano, Yeon Sang-ho, attivo nell’animazione e famoso soprattutto per King of Pigs (pellicola di denuncia contro un sistema coreano estremamente collettivistico e gerarchico ma privo di alcuna attenzione per il singolo individuo) sceglie per il suo debutto in un film live.action di realizzare uno “snowpiercer con gli zombie” (una definizione forse genericamente semplicistica e affettata ma che ha innegabilmente un suo perchè) proponendone, volente o meno, le stesse intenzioni pur se adattandole ad un diverso scenario.
Presentato in Italia al Trieste Science+Fiction Festival del 2016, Train to Busan è la perfetta incarnazione dello zombi-movie moderno, avvincente e sorprendente, ricco di ritmo e pathos e capace, nonostante una certa retorica da melodramma che tracima in certi momenti, di coinvolgere completamente il pubblico.
Il viaggio in treno verso Busan diventa quindi un inferno claustrofobico e granguignolesco, una lotta per la sopravvivenza spietata e crudele e dove i veri mostri, seguendo l’esempio del maestro Romero, non sono i non morti ma gli stessi esseri umani, sviluppando sottotraccia riflessioni di carattere sociologici forse non particolarmente originali ma non per questo troppo banali.
Come in molti zombie-movie infatti la storia ruota intorno alla fragilità della società civile che finisce per sgretolarsi in brevissimo tempo di fronte all’incedere di una impronosticabile calamità e ciò che l’uomo, più per istinto che per raziocinio, è capace di fare in una situazione così estrema pur di riuscire a sopravvivere raccontata attraverso un gruppo di persone intrappolate su un treno e in uno stato di assedio continuo, tra agenti di fondi fiduciari propensi unicamente al lavoro piuttosto che alla famiglia, simbolo del crescente rampatismo coreano, ma anche operai, studenti, senzatetto, prossimi padri e madri, dipendenti delle ferrovie e amministratori delegati, tutti a rappresentazione di una variegata e composita umanità con i loro pregi e, soprattutto, i loro difetti, chi pensando al bene comune e chi (i molti) soltanto al proprio ma in una situazione in cui hanno bisogno uno dell’altro per riuscire a sopravvivere, fallendovi malamente.
Perchè il virus in realtà siamo proprio noi esseri umani che ci infettiamo a vicenda trasmettendoci un’ideologia malsana di egoismo e prevaricazione del prossimo e di cui, purtroppo, non esiste cura se non nella possibilità di un luogo immaginifico (Busan) nel quale i nostri bambini possano fuggire lontano da un mondo degli adulti il cui morso egocentrico possa, alla fine, trasformarli in altrettanti mostri dagli occhi bianchi.
E’ questo a portare l’opera prima di Yeon (che, in omaggio alle sue origini, nello stesso anno ha diretto un prequel animato del film intitolato Seoul Station) tra i migliori esempi del genere, raccontando di morti viventi che si nutrono di una umanità giunta ormai al capolinea (ahah battutona!) sullo sfondo di un futuro post-apocalittico e dispotico (e che verrà elaborato dallo stesso regista nel prossimo Peninsula), segno che il regista ha studiato i capisaldi del genere (ma io tra le varie influenze ci metto pure Snake on a Plane con Samuel L. Jackson!) e adattandole oltre che alla propria poetica anche ai nuovi stilemi del genere ora in voga, vedi i suoi non-morti presi, esteticamente ma anche concettualmente, direttamente da World War Z (ma per fortuna le sue influenze si fermano solo a questo) in una pellicola con molte idee ma con una sua identità ben precisa, intrigante e serrato e soprattutto con uno straordinario senzo del ritmo.
VOTO: 7,5
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