Certe volte mi accosto agli irriducibili del cinema orientale, ma nel momento in cui mi devo affidare sulla fiducia, all'espressione di stupore, paura, angoscia dei protagonisti verso un qualcosa che io vedo quasi completamente al buio, a quel punto mi dissocio.
Come in altri film coreani riguardanti la provincia, fin da subito bisogna entrare nell’ottica dell’inettitudine, goffaggine, negligenza, della polizia che accomuna diverse pellicole del genere. Ecco, fatta coscienza di questo si può proseguire la visione dei ben 157 minuti che ci distanziano dalla fine, quindi già di per se una vera impresa, con una durata “quasi” fiume per un genere come l’horror che a parte alcuni casi ben più meritevoli, ci si aggira sempre sui 90 minuti per avere una più serrata tensione sugli sviluppi della trama.
Ma in Corea non hanno il dono della sintesi,e quindi richiedono sempre un maggiore tempo a cui dedicargli.
Comunque Goksung, parte con la ralla che fin dall’inizio non ci abbandonerà un attimo, con il poliziotto Jong-Goo che viene chiamato in servizio con urgenza per raggiungere il luogo dove è avvenuto un violentissimo efferato omicidio. E lui che dopo essersi vestito di tutto punto con la divisa, incalzato dalla suocera si mette a fare un pranzo, e quindi rispogliato nuovamente, con una tavola imbandita per quattro persone, poi successivamente trascorso un tempo imprecisato, arriva sul luogo dei fatti. Qui con la faccia sempre tra “che cosa ci faccio io qui” e “voglio tornare a casa da mia mamma”, inizia l’indagine.
Diciamo che più che un indagine si sviluppa tra chi “racconta una storia del terrore” a chi “ha sentito il cugino che ha detto che…” insomma un poveraccio. E pure quando è sulle tracce di qualcosa di positivo, non scatta neppure una foto delle prove trovate, e fa più casino della grandine tanto da allontanare ulteriormente la durata del film, e dovere tornare nuovamente sul luogo senza naturalmente trovare quello che fino al giorno prima è chiarissimo. Poi si aggiungono demoni, fantasmi, zombi, sciamani e funghi allucinogeni e arriviamo alla fine stremati, dando per la maggior parte del tempo fiducia alle espressioni dei visi degli attori visto che l’80 per cento del film è così buio che a stento sono riuscito a vedere quello che loro vedevano, oltretutto (e qui partono insulti a sproloquio) non dico a casa di qualcuno che non conosci, ma almeno a casa tua personale accendi le luci, lo so che il massacro si deve vedere fino a un certo punto ma non vederlo per niente, mi devo fidare ancora una volta della tua espressione e del tuo pianto.
Per chi è riuscito ad arrivare al quasi finale, e fortunatamente manca proprio poco alla conclusione, quando LEI esclama “non è quello che pensi” a quel punto dovrebbe essere chiaro e palese che cosa Jong-Goo abbia pensato. Ecco….io in realtà non ho capito una beneamata mazza di cosa lui abbia scoperto con cotanta espressione da paura. Anche se da quel momento alcuni si mostreranno per quello che sono e altri invece rimarranno nel dubbio, e chi era complice ma non lo diceva perché altrimenti finiva prima, e quelli che entrano nel corpo di altri per poi ritornare nel proprio corpo, fino a quelli che accusano innocenti ma non sai neppure quando è avvenuta l’accusa e perché sia stata fatta. E a quel punto alzo le braccia e mi arrendo impotente al più magistrale guazzabuglio che io ricordi.
Comunque Goksung possiede delle parti in comune nell’esecuzione e applicazione degli omicidi, a Sinister di Scott Derrickson, che anche lì pur essendo lontanissimi dalla Corea forse per solidarietà, in casa propria non accendevano proprio la luce, neppure nel momento del bisogno.
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