La recensione su Goksung - La presenza del diavolo

di AndreaVenuti

8 stelle

Goksung- La presenza del diavolo (titolo internazionale The Wailing) è un film sudcoreano scritto e diretto da Na Hong-jing.

Attualmente l'opera è visibile su Amazon Prime Video.

Sinossi: Nel remoto villaggio di Goksung l’esigua popolazione è scossa da brutali omicidi. Inizialmente le indagini della polizia locale sembrano ricondurre il tutto alla comparsa di una nuova droga, talmente forte da spersonalizzare la persona che la utilizza inducendola a commettere azioni scellerate. Contemporaneamente alcuni cittadini incominciano a sospettare dell’ultimo arrivato, un anziano giapponese (Jun Kunimura) che vive nel bel mezzo della foresta isolato da tutti, personaggio enigmatico e misterioso…

Come scritto più volte sulle “pagine” del sito, la Corea del sud dalla fine degli anni Novanta in poi è entrata con impeto non previsto in una nuova età dell’oro dove i successi commerciali spesso combaciano con una qualità artistica ragguardevole.

Parallelamente si è creato uno star system eterogeneo composto da un numero considerevole di autori, i quali aumentano instancabilmente ogni anno e fra i più quotati troviamo sicuramente Na Hong-jin, apprezzatissimo in Europa.

Il giovanotto di Seul classe 1974 innanzitutto fa parte della schiera dei registi che si scrivono in autonomia le sceneggiature del proprio film (peculiarità della cinematografia coreana) e non a caso tutte le sue tre opere, per quanto presentano un soggetto differente, sono collegate da un filo rosso comune.

Na Hong-jin predilige lavorare su due particolari binari che si traducono in omicidi brutali accompagnati dalla tortuosa strada della detection. Elementi carissimi al moderno cinema coreano rielaborati con successo dal nostro autore nelle sue prime pellicole (The Chasher e The Yellow Sea), inserite in un contesto gangster/noir ed in parte riproposte in questo film sebbene cambi totalmente scenario passando all’horror.

L’horror in Corea nel corso dell’ultimo ventennio si è ritagliato una parte importare nell’industria filmica permettendo sia a giovani registi di esordisce con una certa autonomia artistica (Whispering Corridors di Park Ki-hyung, Memento Moridi Kim Tae-yong) sia ad autori affermati (Two Sister di Kim Ji-woon) di cimentarsi in un filone di natura sperimentale, ed il caso di Na Hong-jin che sfrutta al massimo l’occasione proponendo tanti stilemi tipici del genere ma affrontati con piglio personale.

The Wailing difatti si caratterizza dal cospetto di un livello orrorifico in continua evoluzione. All’inizio del film si avverte una certa presenza demoniaca insinuarsi all’interno di una popolazione rurale e non mancheranno macabri omicidi avvolti dal mistero inoltre Na Hong-jin è bravo a centellinare le informazioni, creando subito molta suspense coadiuvata da una regia estremamente raffinata (ci torneremo dopo).

La tematica demoniaca persiste durante tutta la visione ma in diversi frangenti si amalgama ad altre correnti, ad esempio suggestivo il frangete in cui il protagonista Jong-goo (Kwan Do-won) svolge il turno di notte in commissariato e si ritrova in compagnia di un suo collega altamente scapestrato; i due fanno di tutto tranne che lavorare arrivando addirittura a discutere circa leggende popolari per poi essere bruscamente interrotti da una sfuggente presenza femminilecompletamente nuda ed intenta a vagare in solitaria sotto una pioggia incessante, scena d’impatto che richiama alcuni stilemi riconducibili al J-horror.

Continuando questa specifica analisi, l’autore coreano ci regala anche una bella sequenza onirica carica di tensione dove sogno e realtà viaggiano sullo stesso piano. In aggiunta verso la fine un po’ a sorpresa assistiamo all’apparizione di morti viventi, legati ad oscuri riti voodoo.

Detto questo impossibile non soffermarci sullo sciamanesimo e sulle cerimonie di guarigione.

Nel film il regista architetta due sequenze allucinanti ed agghiaccianti, mostrandoci nel dettaglio tali riti altamente grotteschi ed esoterici, distinti da una musica -diegetica- tribale martellante e da un uso espressivo del montaggio serrato e parallelo [il secondo rito sciamanico -entrambi eseguiti dal celebre attore Hwang Jung-min- viene alternato al rituale voodoo del giapponese].

Scene davvero forti specialmente se contestualizzate visto che siamo di fronte a credenze altamente incuneate nella mente e nello spirito di tantissimi coreani. A tal proposito Na Hong-jin con incredibile lungimiranza sembra quasi anticipare il più grosso scandalo dalla nascita della giovane Repubblica Coreana e mi riferisco alla sospensione e conseguente arresto della presidentessa Park Geun-hye (figlia del dittatore Park Chung-hee, assassinato nel 1979 dal direttore dell’intelligence coreana Kim Jae-gyu) accusata di corruzione.

L’ex leader del paese durante il suo mandato si è letteralmente affidata -in gran segreto- alla nota sciamana Choi Soon-sil ed è proprio quest’ultima che le scriveva i discorsi, le consigliava strategie politiche da attuare e soprattutto l’ha indotta a versare soldi pubblici in attivate controllate proprio dalla sciamana.

Cambiando discorso e ritornando a focalizzarci sul film è possibile individuare altri due elementi importanti, spesso al centro di svariati film locali: la famiglia e le forze dell’ordine.

Interessante il rapporto padre-figlia; Jong-goo è un buon padre, tiene davvero alla sua piccola, ama fare colazione insieme a lei ed è aperto al dialogo, discutendo persino di argomenti lavorativi. La famiglia è dunque importante tuttavia è destinata a disgregarsi inesorabilmente (altro topos importate per il cinema asiatico).

In riferimento alle forze dell’ordine ritroviamo una costante fissa del cinematografia coreana ossia l’incapacità della polizia. Jong-goo sarà pure un buon padre ma al lavoro i suoi limiti emergono presto; è un agente mediocre, facilmente influenzabile e non c’è da stupirsi se la sua indagine in solitaria, atta far luce sui brutali omicidi, non lo porta da nessuna parte anzi peggiorerà la situazione.

Chiudo spendendo due veloci considerazione sulla regia.

Na Hong-jin confeziona un film estremamente raffinato, la costruzione della suspense è perfetta, i colpi di scena sono molteplici e di natura ingannatoria e quindi difficilmente prevedibili in aggiunta pur non trovando virtuosismi tecnici eccelsi la mano del regista è ben visibile, ad esempio riesce ad esaltare al massimo l’ambiente rurale con un approccio in parte sontuoso (panoramiche dall’altro, campi lunghi e totali) per poi improvvisamente catapultarci in uno scenario malsano ed inquietante (la prima scena del crimine). Ottimo anche l’uso del fuori campo che amplifica ulteriormente la tensione .

Cercando l’ago nel pagliaio forse la parte centrale risulta troppo discorsiva presentando qualche piccola incongruenza narrativa (si poteva approfondire meglio il ruolo della ragazza “nemica” del giapponese). Nota di merito al finale cattivo ed aperto a svariate interpretazioni.