Regia di Hong-jin Na vedi scheda film
L’uomo ridicolo ed i suoi infiniti limiti.
In un paesino coreano un’epidemia infetta gli abitanti che si concedono sprazzi di violenza assassina al termine dei quali finiscono in un’inspiegabile catalessi e sporchi del sangue dei loro stesi rispettivi familiari. Un imbranato poliziotto si occuperà del caso scoprendo che forse tutto si ricollega alla maledizione portata da un misterioso giapponese da poco stabilitosi nei dintorni.
Goksung non si poteva non vedere, al di là delle recensioni è strano trovarsi distribuito un film orientale in Italia a così poco tempo dall’uscita nelle sale coreane, inoltre di Na Hong jin non solo si è sempre parlato bene ma il fatto che in dieci anni gli abbiano permesso di girare solamente tre film la dice lunga su che razza di folle stiamo parlando. Non dico per dire sul fatto che a dirigere ci sia un pazzo completo perché in due ore e mezza non c’è un minuto nel quale ci si possa mettere comodi a cercare di inquadrare uno straccio di idea stilistica, la trama esplode con camera a mano e montaggio impazzito proprio quando ci si abitua al cavalletto e ad immagini quadrate poi, quando sentiamo il cuore in gola, rallenta di nuovo e i movimenti di macchina si fanno attenti ed eleganti.
La durata può scoraggiare, due ore e mezza sono parecchie ma volano perché più che approfondire una trama qui si prendono trenta film diversi e li si comprime in una volta sola sicché non si ha tempo di capacitarsi d’una serie di eventi che ne arriva un’altra come un treno che sconvolge tutto facendo ricominciare le cose daccapo. I primi tre quarti d’ora sono una vicenda, i secondi ne introducono un’altra e l’ultima ora sono tipo una trama diversa ogni dieci minuti.
la pellicola è spietata e malgrado ogni cosa prenda nello svolgersi una piega decisamente drammatica non si può ignorare come ogni figura – dal poliziotto al monaco fino all’intera società che ignora lo stato delle cose – faccia la fine d’una parodia, sembra di vedere una mandria di idioti che mettono in ridicolo il loro stesso ruolo. Questa rappresentazione poi dalla società si estende al resto delle credenze e delle religioni, dei ragionamenti e dei giudizi; niente si salva perché ogni ragionamento per quanto logico rivela solo impotenza e limitatezza.
Alla fine una risposta c’è nella matassa di queste quasi tre ore di lezione di montaggio di un’opera, sulla direzione delle sequenze, su dove va messa la macchina da presa. Eppure si fa fatica a crederci perché ci si rende conto che per quanto chiaro ed evidente sia l’epilogo in realtà il giudizio delle cose cambia in base alla visione che si ha di esse, per decine di minuti lo spettatore non fa altro che giudicare e quando arriva la fine la cosa più evidente sta nella consapevolezza che il nostro sguardo è sempre e comunque troppo limitato.
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