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Voir du pays

Regia di Delphine Coulin, Muriel Coulin vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Voir du pays

di alan smithee
6 stelle

Bastano tre giorni di decantazione dagli orrori del campo di battaglia per restituire al mondo "civile" occidentale una truppa di volontari con indosso i segni apparentemente indelebili degli orrori della guerra? Due ambientazioni antitetiche ma surreali alimentano sentimenti contrastanti e incitano lo svilupparsi di disagi ed ossessioni.

FESTIVAL DI CANNES 2016 - UN CERTAIN REGARD - PRIX DU MEILLEUR SCENARIO

La "decompressione", quello che gli studiosi ritengono serva ai soldati impegnati nelle pericolose missioni in un Medioriente infuocato di lotte intestine, religiose, frutto di intolleranza, di odio insanabile e non meno di interessi economici che prevaricano ogni altra motivazione storico civilistica.

Le truppe francesi di stanza in Afghanistan, prima di rientrare in patria, vengono "centrifugate" tra gli agi di un resort 5 stelle che li faccia tornare a sorridere e li renda "presentabili" e reintroducibili nella società che essi hanno volontariamente abbandonto.

Tra di loro due donne, Aurore a Marine, adeguatamente scombussolate, almeno in linea con i loro commilitoni, inserite in un contesto ridanciano e spensierato che le catapulta in un altro terreno da esplorare: forse non nemico come quello della battaglia, forse meno popolato di tranelli letali dai quali tenersi alla larga, ma dal quale guardarsi comunque alle calcagna, studiando i tratti, i percorsi, le abitudini di vita di chi vive come loro in quell'oasi di spensieratezza che così mal si amalgama sui loro visi pregni di vita reale e drammatica strappata ad una morte violenta in una terra nemica ed ostile, dai tratti quasi lunari.

Interessante abbinamento i persone in luoghi completamente al di fuori della dimensione dalla quale provengono dopo un periodo di impegno al fronte: soldati cammuffati da turisti, che tuttavia appaiono spaesati e quasi alla ricerca spasmodica di un nemico che, se non si trova, comporta ancora più ansia, come fosse impossibile escluderne la presenza.

Una delle due ragazze ha portato, nascosto con sé, un piccolo serpente innocuo, catturato nel deserto: congedandosi da quel luogo quasi fuori dal tempo, la ragazza si sentirà in dovere di liberarlo, quasi a restituirgli una libertà che invece a lei viene negata, reintroducendosi in un contesto sociale meno pericoloso, ma sin troppo regolamentato.

Soldati che si muovono anche in territorio di pace e confort come su un terreno nemico alla ricerca dell'abitante locale che appare subito colpevole di qualcosa, e dunque pronto ad impersonare il nemico da tenere a bada.

Interessanti le due protagoniste, Ariane Labed stupenda anche con il fucile e la mimetica e senza un velo di trucco, circostanza che ce la restituisce di una bellezza pura e schietta, ancor più folgorante che altrove, decisamente più adornata e curata.

Giudizio ancora in sospeso per l'astro nascente Soko, perennemente (e comprensibilmente) imbronciata nella sua parte di ragazza introversa, decisa e silenziosa, che soffoca problemi esistenziali difficili da risolvere o placare. Abbiamo bisono di rivederla, cicostanza che capiterà presto con l'imminente (almeno in Francia) La danseuse, proveniente pure lui da Cannes.

Quanto a disagio e a perfetta rappresentazione di instabilità psicologica, l'altro elemento nascente della recitazione francese, Karim Leklou, è perfetto nella parte di uno dei soldati che cerca di distendere la tensione che aleggia tra le truppe ancora scosse dai troppi mesi di permanenza tra le incognite di una guerra senza tregua.

La sceneggiatura, premiata al Certain Regard di Cannes 2016, gioca sui contrasti tra due ambienti totalmente disparati, ma ambedue in modi differenti ed opposti, quasi surreali, il cui susseguirsi alimenta la definizione del mostro che si annida in noi, anziché placare l'animo turbato da troppe emozioni forti.

Le sorelle registe Coulin, già viste ed apprezzate con l'introspettivo 17 ragazze (in concorso al TFF di qualche anno orsono), si mettono alla prova con tematiche socio caratteriali nuovamente molto forti, cercando di studiare i più reconditi e sconosciuti atteggiamenti caratteriali che si annidano all'interno di persone per troppo tempo sottoposte a stress emotivi che vanno spesso al di là di una umana tollerabilità.

La soluzione della vacanza curativa e di decantazione, non penso sia un espediente di sceneggiatura campato per aria, ma piuttosto sia frutto di sperimentazioni avvenute e studiate per far fronte ad uno stress psicologico che è un tassello non meno problematico di quello dei pericoli più meramente fisici a cui vanno incontro i soldati delle truppe in missione.

 

 

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