Regia di Kleber Mendonça Filho vedi scheda film
Clara (Sonia Braga) è una sessantacinquenne ancora con una grande voglia di vivere. Vedova e madre di tre figli adulti, è riuscita a vincere un cancro al seno ed ha lavorato per molti anni come giornalista specializzata nella critica musicale. Andata in pensione, trascorre il suo tempo ascoltando dischi, andando al mare e dedicandosi ai suoi affetti. La bella casa dove abita, carica dei sui ricordi più belli, si trova nel parco residenziale Aquarius, costruito negli anni quaranta per ospitare gli esponenti dell’alta borghesia di Recife. Questo parco residenziale è oggetto di una radicale opera di trasformazione e tutti i suoi occupanti hanno lasciato le rispettive abitazioni accettando le offerte della società immobiliare titolare del progetto. Clara non vuole saperne di lasciare il suo appartamento ed è disposta a tutto pur di difendere la sacralità dei suoi spazi. Si scontra così con Diego (Humberto Carrao), il tecnico responsabile del progetto di dismissione dell’Aquarius, con il quale inizia una “guerra” di nervi che mette a repentaglio il suo equilibrio esistenziale.
“Aquarius” di Kleber Mendonca Filho è un film che ruota tutto intorno ad un bellissimo ritratto di donna, quello di Clara, che basta da sola per incarnare tutto il coraggio che ci vuole per difendere ad ogni costo l’integrità delle proprie passioni e la purezza dei ricordi più belli. A fare da sfondo ci sono le sembianze di un paese che non risparmia sacrifici pur di assecondare fedelmente i dettami economici della new economy. Il dato politico è trattato comunque con molta discrezione, riflesso nel carattere stratificato di Clara, ribelle di natura e combattivo per necessità contingenti. Contenuto quasi per intero nella centralità che Kleber Mendonca Filho dà allo spazio abitativo. Già ne “Il suono intorno” (il suo primo lungometraggio), il tema portante è il modo in cui le persone vivono il rapporto con la città (sempre Recife) e gli ambienti domestici. Un rapporto che è messo in continua relazione con i suoni prodotti e diffusi dalle più svariate faccende urbane, che l’autore brasiliano rende in forma materica, come un qualcosa che riesce ad incidere molto negativamente sulle frequenze comunicative che intercorrono tra gli esseri umani. Ma se nel film precedente i suoni della città arrivano ad assumere una connotazione prima psicologica e poi fisica, rappresentando una sorta di “blob metafisico, una minaccia latente che arriva ad avvolgere i corpi dentro un flusso di enigmatici presagi”, in “Aquarius” l’ordine si inverte, dato che i rumori molesti che catapultano Clara in uno stato di agitazione emotiva sono il prodotto tangibile dell’opera di dismissione del parco residenziale. Di questi rumori se ne conoscono perfettamente l’origine e le finalità, il perché si vuole ristrutturare l’Aquarius e quali espedienti si vogliono usare per riuscire a vincere la fiera resistenza di Clara. La centralità del suono è ricavabile anche (se non soprattutto) dall’uso ampiamente diegetico che Mendonca Filho fa della musica, grazie ad una narrazione che aderisce molto al vissuto della donna, al lavoro di critica musicale che ha svolto per tutta la vita e alle canzoni che ascolta ad ogni momento della giornata (diverse sono bellissime, e a me piace particolarmente “O quintal do Vizinho” di Roberto Carlos).
Come già si è detto, il film investe quasi tutta la sua ragion d’essere nella figura carismatica di Clara, una donna bellissima e orgogliosa, con una vita votata all’amore per la musica e l’amore per la musica diventata una ragione sufficiente per continuare a vivere. La sua indole battagliera è sempre bene allerta, indirizzata contro chi vorrebbe mummificarla nella sua vita trascorsa. Ma il suo corpo invecchia ma non appassisce, accumula dolori ma non si arrende, colleziona cicatrici ma poi rifiorisce. Clara è pronta a sfidare tutto e tutti. Ha già sconfitto il cancro, che è riuscito a strappargli solo un seno, rimanendogli una ferita che ogni volta gli ricorda della sua femminilità oltraggiata. Ora tocca agli speculatori edilizi del “nuovo” Brasile, quelli che all’estero hanno studiato come disperdere il più in fretta possibile le buone usanze del proprio paese. Loro vorrebbero comprare a buon mercato la sua esigenza di sicurezza, ma l’unica sicurezza che Clara sa riconoscere ed amare è quella racchiusa nel perimetro della sua casa. Casa che conserva tutte le forme della sua esistenza. È pronta anche a sfidare la bonaria arrendevolezza dei figli se necessario, che la vorrebbero più nonna consigliera di famiglia che donna ancora libera di andare, più collezionista di ricordi avventurosi che artista ancora infiammata di passioni. Clara non ha paura di sfidare l’ostentata benevolenza dei nuovi mostri. Gli squali della speculazione edilizia possono devastare un territorio e cambiare letteralmente volto ad un’intera città, ma non possono cambiare la storia che è stata, soprattutto la sua. Lei mette i suoi amati dischi e canta insieme a loro. Finchè durerà la vita, ma solo quella che realmente vale la pena di vivere. Un buon film che deve molto della sua forza alla bellezza eterea di Sonia Braga.
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