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La battaglia dei sessi

Regia di Jonathan Dayton, Valerie Faris vedi scheda film

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La recensione su La battaglia dei sessi

di supadany
7 stelle

Ogni stagione di ogni epoca ha avuto le sue battaglie. Percorsi irti di ostacoli dai quali non è possibile sottrarsi e senza una data di scadenza, che prevedono la guardia sempre alzata, con successi spesso episodici - già solo nel tennis, il problema dei montepremi è annoso - e il bisogno di alimentare un’urgenza, ma anche di trovare un’oasi di felicità, con personalità promiscue che sottovalutano la protesta e che, fondamentalmente, vogliono tenere il grasso che cola sotto la loro sfera d’influenza e altre pronte a rischiare tutto nel nome di una causa, per sovvertire il pronostico.

Con La battaglia dei sessi, Jonathan Dayton e Valerie Faris (Little miss Sunshine, Ruby Sparks e tanti video musicali alle spalle, tra i quali tre dei R.e.m.: il cimelio del 1982 Wolves lower e i più commerciali Tongue e Star 69) assemblano un’impellenza etica alla ricostruzione dell’immagine post sessantottina, guardando anche al privato, utile per ampliare, e talvolta colorire, la circonferenza tematica.

Nessun miracolo all’orizzonte, ma lasciare una traccia evocativa con riflessi politici sempre attuali, inserire spezzoni di tennis facendo sì che siano propedeutici al supporto e tratteggiare due personalità tanto determinate nella loro immagine pubblica, quanto contraddittorie nella sfera privata, sono fattori più che sufficienti per decretarne la ragion d’essere.

Nel 1972, la campionessa di tennis Billie Jean King (Emma Stone) e Gladys Heldman (Sarah Silverman), sfidano la federazione tennistica statunitense e il suo responsabile Jack Kramer (Bill Pullman), pretendendo compensi allineati a quanto previsto per gli uomini.

Non trovando alcuna apertura, danno vita a un circuito indipendente, mentre l’ex giocatore Bobby Riggs (Steve Carell) lancia loro un guanto di sfida sul campo di gioco, per testimoniare la superiorità maschile.

Nel frattempo, Billie vede le stelle grazie a Marilyn (Andrea Riseborough) e Bobby è in crisi con sua moglie (Elisabeth Shue), stufa delle sue false promesse, senza perdere un grammo di un’insolenza, spalleggiata dal sistema.

Tutto porta alla sfida tra Billie e Bobby sul campo da gioco: un evento destinato a convogliare l’attenzione di novanta milioni di spettatori.

 

Emma Stone, Steve Carell

La battaglia dei sessi (2017): Emma Stone, Steve Carell

 

Jonathan Dayton e Valerie Faris non rientrano nel rango dei fenomeni della regia, ma nemmeno in quello degli approfittatori gratuiti: conoscono il mestiere e ci tengono a non smentirsi, anche quando, come in questo caso, intraprendono delle scansioni a modo.

Tanto per gradire, il film si apre con il vecchio logo della 20th Fox, un messaggio iniziale che stringe un patto di fedeltà con la ricostruzione del passato, specchiandosi nel presente, perché il tempo del giubilo sembra non arrivare mai.

L’approccio è snello, ricreare la patina da anni settanta è un gioco da ragazzi, la battaglia per la parità sessuale entra subito nel vivo lottando con il sorriso, accusando disfunzioni nel ritmo, mitigate da un ricettacolo cadenzato su due traiettorie, in grado di destreggiarsi tra pubblico e privato.

Nel primo caso è un crescendo di toni fino ad arrivare alla grande sfida che sciorina cinque minuti di tennis senza bisogno di ricorrere a elementi di sostegno. Nel secondo sfodera le sue armi migliori per avvalorare la sua poetica, tratteggiando i due contendenti raffiguranti due modi di pensare e agire.

Billie è una donna coraggiosa, sposata e spaesata nel suo essere travolta da un’attrazione sessuale irrefrenabile, dal quale trova un ulteriore (silenzioso) vigore per perseguire la sua causa, mentre Bobby raffigura tutte le deviazioni dell’uomo considerato di successo, in realtà un insensibile perdente conclamato, una caricatura grottesca che aizza la folla con un fare da cabarettista, macera un matrimonio e schernisce il suo avversario, vivendo ogni mossa come una scommessa, senza alcun impegno concreto.

Proprio nell’incardinare questi due universi agli antipodi, Jonathan Dayton e Valerie Faris danno il meglio, riuscendo a essere intimi e delicati quando si parla di Billie, volgari e caricaturali quando spostano il radar su Bobby.

 

Andrea Riseborough, Emma Stone

La battaglia dei sessi (2017): Andrea Riseborough, Emma Stone

 

Se il duo in cabina di regia offre la visione d’insieme, i due interpreti assecondano le loro funzioni donando un contributo organico nella raffigurazione di due vulcani d’idee, che contrappongono il denaro e l’azzardo agli ideali. Anche in versione quattrocchi, Emma Stone frigge ogni resistenza con un semplice sguardo, ma poi spetta a Steve Carell il ruolo di carico da novanta. La sua interpretazione naviga - con tonalità più leggere - tra la tracotanza sportiva di chi vuole primeggiare già manifestata in Foxcatcher – Una storia americana e quanto portava Andy Kaufman a sfidare delle donne sul ring del wrestling in Man on the moon, trasformandosi in una copia carbone del vero Bobby (la somiglianza è eclatante). In più, anche il resto del cast propone note liete: l’altrove seriosa Andrea Riseborough (Doppio gioco, Oblivion) diventa un ninfa dalla carica sensuale irresistibile, Sarah Silverman affoga il suo ego nel personaggio, Bill Pullman è centrato e Alan Cumming imprime una gaytudine felicemente gioiosa (e come cliché insegna).

Questo dedalo di caratteristiche procede di pari passo con l’etica, che delegittima i tabù sessuali e richiede un trattamento congruo che anche nel piccolo del mondo del tennis è ricorrente (come le sfide, Serena Williams anni fa ha giocato contro un uomo ed è stata demolita), presentando lo showtime che non passa mai di moda, ricordando che c’era da fare e, nonostante tutto (le note a corredo di questa storia sono tutte felici ed esposte a fondo pagina), ancora oggi, quando tanti passi sono stati indubbiamente fatti, il traguardo si sposta sempre un passo in avanti: sembra di poterlo tagliare, lo sfiori ma poi devi rimetterti a correre, più tenacemente di prima.

Utile e dilettevole, indubbiamente con una dose canonica, ma privo di quell’altezzosità che spesso inquina impudicamente il messaggio. 

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