Regia di Hoon-jung Park vedi scheda film
Qualcuno sostiene che gli effetti speciali in grafica computerizzata siano al livello del contemporaneo e simile per ambientazione americano "The Revenant", ma non è vero, o almeno, sono talmente abusati anche laddove si sarebbe potuto ricorrere a vere tigri, cuccioli, lupi(e non si dica che non è vero, almeno nelle scene di branco e di fuga degli stessi, non frontalmente a doverli impegnare a fare chissà cosa di complicato), e come si faceva prima che esistesse il digitale, tanto da essere quasi sempre molto meno realistici e da "videogioco"- con la grande indistruttibile tigre di tre metri "Re della Montagna" che compie delle stragi alla velocità e sinuosità rotonda, elettronica, fintissima, di un intero battaglione giapponese armato di artiglieria, come nemmeno la tigre Shiva di Ezekiel, in the "TWD"- , che se si fosse ricorso ai vecchi metodi e soprattutto, con veri animali visto che in oltre due ore, non ce ne è nemmeno uno.
Questo è l'unico vero principale appunto che si può muovere ad un'opera che pur nella sua lunghezza eccessiva (139'), in linea però con la media del cinema asiatico non soltanto per I "kolossal", tiene desta l'attenzione e sa come appassionare, nonostante tre o quattro finali e un fondo di forte propaganda nazionalista e ovviamente anti-giapponese, essendo ambientato nel 1925 durante l'occupazione militare dell'impero del Sol Levante.
In realtà il cinema coreano è uno dei pochi che la propaganda sa ancora farla così bene, non risultando mai davvero fastidioso nei suoi toni enfatici e di un dualismo uomo-animale che non ha niente di originale ed è anche un pò retorico, ma ben realizzato, cogliendo anche un individualismo e fatalismo che è quello del finale di "A 30 secondo dalla fine" di Andreij Konchalovskij dalla sceneggiatura di Akira Kurosawa. A cui lo accumina sia la comune innevata, densa di gela, che la colonna sonora molto suggestiva, e che ricorda parecchio nei suoi tanti temi, quella di Trevor Jones.
Così come nonostante una sceneggiatura invece qui in "The Tiger" non così perfetta e prosciugata da ridondanze, retorica e tronfio banalità, la regia di ottimoblivello e le eccellenti interpretazioni di tutti come i sempre bravissimi Min-Sik-Choi e Man Seok-Jong salvano l'intensità della storia per le sue oltre due ore, tra cui si riconosce pure Ren Osugi come ufficiale nipponico, anche nelle situazioni più prevedibili e roboanti.
Qui non si parlerà di "visioni", "sguardi", "radicalizzazione" e altre supercazzole buone per i palloni gonfiati delle università, ma si dirà soltanto che pur essendo un kolossal molto ambizioso e che ha compiuto sfracelli al botteghino ha in Patria.
Laddove il cinema non è in crisi commerciale e con un pubblico di oltre 80 milioni di spettatori la produzione può essere numerosa, e anche totalmente autoreferenziale, poteva dunque essere migliore e memorabile, meno condizionato e programmatico(va premiata però la sua spietatezza tipicamente coreana e che và sempre contro le convenzioni narrative che ti aspetteresti, vedasi la lunga agonia di Sung-Kyu che forse si sarebbe salvato se l'altro ufficiale non tentasse di sparare ancora alla tigre, e la lunga sequenza del pasto che di lui ne fanno ancora vivo seppure orribilmente ferito-e forse sarebbe pure sopravvissuto, se non fosse stato abbandonato- i lupi in branco dopo averlo trascinato nella loro tana, peccato che i lupi siano fintissimi), stante l'assurdo spunto salgariano di un esercito straniero occupante e intero, che riempie di esplosivo e artiglieria pesante un'intera inaccessibile montagna altissima a distruggerne la foresta, perdipiù durante un terribile inverno, per riuscire ad uccidere l'ultima e dalla intelligenza e forza soprannaturali, tigre coreana.
Poiché simbolo e immedesimazione della superiore e resistente identità nazionale, degli occupati e sottomessi.
Presentato per aprire in vari festival anche italiani questi si, "politici", incentrati sulla produzione del cinema asiatico ha parzialmente deluso le aspettative, ma rimane anche così un'opera che non annoia e che come precedentemente detto per lunghi tratti appassiona come un vecchio kolossal conradiano, non poco per il cinema degli anni 2010.
John Nada
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