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Poesia senza fine

Regia di Alejandro Jodorowsky vedi scheda film

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La recensione su Poesia senza fine

di alan smithee
5 stelle

Ritorna e forse si completa il ricordo cine-biografico della vita dell'estroso maestro di cinema e di molte altre arti visive. Un percorso di sublimazione della poesia e dei suoi valori,osteggiata dalla famiglia di origine ma non per questo rinnegata dall'autore, che ne ha sempre fatto l'elemento portante della sua ispirazione.

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Alejandro Jodorowski, tenace ed in gran forma fisica nonostante l'avvicinarsi della novantina, dirige la doretta prosecuzione della storia della sua famiglia, iniziata tre anni orsono col riuscito La danza della realtà.

Ritroviamo un giovane Alejandro negli anni '40, già attratto irresistibilmente dalla poesia, osteggiato fieramente dal padre (interpretato anche stavolta da Brontis, figlio maggiore di Jodorowski), e protetto dalla madre canterina amorevole, ma impotente dinanzi alla furia del padre che lo vorrebbe più marziale, più uomo.

Ecco che con il divenire adulto, Alejandro (interpretato da Adan, eclettico altro figlio artista di Alejandro, anche musicista e attore circense) diviene un artista bohemien, circondato da saltimbanchi e storpi, nani e altre creature che una natura bizzarra ha reso incondizionatamente adatti a dar vita a spettacoli e a forme d'arte e di intrattenimento.

Saldamente ma anche bizzarramente legato alla propria radice culturale e familiare, questo secondo diario di famiglia appare eccessivamente fumoso e architettato con spirito contemplativo e compiacente.

Certo le costruzioni scenografiche sono mirabili, forti di congegni ed effetti meccanici rudimentali e volutamente in vecchio stile, quasi circensi, in onore ad una tradizione e ad uno stile ormai inconfondibili da parte del visionario cineasta.

Ma la storia finisce presto e si svlisce in un esercizio di stile dagli intenti troppo smaccatamente celebratori, dagli intenti troppo apertamente trasgressivi che peraltro abbiamo già visto quanrant'anni e più fa con la celebre trilogia dell'autore.

E se dunque ritrovare Jodorowski, che sente vicina la presenza in verità poco ostile, ma quasi più beffarda ed ironica della morte, rappresentata in costumi affascnanti dove teschi e scheletri danzano e fanno festa come in un carnevale del declino inesorabile, è sempre un avvenimento, anche quando trascorrono solo pochi anni dalla sua precedente opera atobiografica, si rimane anche un pò delusi dalla mancanza di concretezza e di basi solide, come se in questo caso si fosse voluto allungare un brodo piuttosto gustoso, per prolungarne, invano, il piacere poco prima provato nell'affrontarlo.

 

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