Regia di Claudio Giovannesi vedi scheda film
Un fiore è tatuato sulla pelle di Daphne, una delinquentella finita in carcere per furti di cellulari. Lei stessa è un fiore strappato dalla mano di un padre miserabile che non riesce ad amarla fino in fondo (e la madre, semplicemente, non c’è) e ripiantato in una terra ostile, annaffiata dall’amore impossibile per Josh, che la guarda dalla finestra di fronte, attraverso le sbarre. Figli di un dio minore, trovano una possibilità di fuga nella scoperta di un sentimento che nasce come mutuo soccorso e antidoto alla noia e si rivela la ragione per cui ha senso la vita fuori dal carcere. Se la prigione deve rieducare chi ha sbagliato, questi due disgraziati, colti nel crinale tra infinita adolescenza e lontana maturità, si rieducano innamorandosi. Perfino l’estremo tentativo di felicità, del tutto illegale, appare l’unica espressione possibile della loro rieducazione (sentimentale).
È un film bellissimo, Fiore, che racconta un altro tassello di quell’antologia della disperazione proletaria di cui Non essere cattivo è il capodopera. La sua potenza sta nella dicotomia tra i tristi interni di un carcere refrattario all’umano e la geografia di una periferia senza la parvenza di un’eventuale normalità; nei pianisequenza mai autocompiaciuti (il primo scippo) e nell’assenza di morbosità (la difficoltà nello scambio dei baci); nella personale ricerca di una via alternativa al dramma sociale e al melodramma carcerario, al cinema di denuncia e al miele adolescenziale; nel ritratto ravvicinato di una che fa i quattrocento colpi e necessita disperatamente d’amore. Le due cesure musicali, Sally di Vasco Rossi e una cover di Maledetta primavera, stanno lì proprio a determinare la cifra autenticamente popolare di questo cinema privo di semplificazioni.
Quando appaiono, per esempio, i profili delle baracche sulla spiaggia e i corpi celati dalle sbarre, i piccoli appartamenti di periferia e i vassoi coi piatti insulsi delle mense, ecco che emerge un realismo di marca contemporanea, privo di retorica o buonismo e sinceramente votato all’osservazione di ciò che accade. Quello di Claudio Giovannesi è un cinema umanista, cosciente di Pasolini e Bresson, che ogni tanto si concede la fuga onirica (i sogni di Daphne così crudelmente uguali alla realtà) e che, mentre fa correre Daphne in riva al mare, non può non ignorare il più indimenticabile ragazzo che scappa verso il mare (siamo tutti figli di Truffaut). Ed è uno dei migliori film italiani recenti sui ragazzi – e che sa parlare ai ragazzi. Lodi sperticate ai due protagonisti e una menzione speciale al grandioso Mastandrea che agisce di sottrazione.
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