Regia di Toni D'Angelo vedi scheda film
C’è un attore che vorremmo vedere di più al cinema, è Fortunato Cerlino, il don Pietro Savastano della serie televisiva “Gomorra”. In “Falchi”, poliziesco di buona fattura, Cerlino è il poliziotto Peppe in coppia con il tormentato Francesco (Michele Riondino). Quando i due perdono il loro commissario Marino si smarriscono e anche la loro simbiosi ne risente. Francesco ha forti sensi di colpa per un clamoroso incidente di lavoro e cerca redenzione con una ragazza cinese. Peppe ha ereditato da Marino il cagnone Mala, il quale diventa il suo migliore amico fino alla fine.
“Falchi” racconta poliziotti irregolari, disillusi, politicamente scorretti (fumano parecchio, si drogano e bevono senza parsimonia). Abbonda di citazioni cinefile e di due piani narrativi paralleli che si uniscono nella concitata conclusione. Toni D’Angelo dirige bene tra il noir italiano (Di Leo docet) e il cinema d’azione di Hong-Kong, con qualche caduta di ritmo e nel cliché del genere. Cerlino ricorda il compianto Ennio Fantastichini, duro e drammatico di tante pellicole: ha la stessa piega della bocca, lo sguardo disincantato di certi caratteri vivisezionati in vita, la voce bassa e pastosa come quella di Pippo Delbono nei panni dello sconfitto commissario (altra interpretazione superba). Forse Cerlino non ha il cipiglio perfido che sapeva sfoderare l’attore viterbese, però possiede degli occhi labili, fuori dalle lenti sono vagamente strabici e rispecchiano la profonda solitudine esistenziale del personaggio e della vita. Fino all’ultimo quegli occhi cercano quelli di Mala – una delle scene più belle di “Falchi”.
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