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Falchi

Regia di Toni D'Angelo vedi scheda film

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La recensione su Falchi

di alan smithee
6 stelle

Inseguimenti tra i vicoli, sparatorie, e il marcio che infesta i ranghi sempre più alti delle forze dell'ordine. Un cane e una immigrata clandestina saranno il centro del contendere che renderà ostili fino alla fine due colleghi diversamente vulnerabili a causa ognuno di propri traumi. Buon ritmo e solennità per una rinascita del poliziottesco.

Arie di complotto e di sporche connivenze spirano nel golfo che si staglia sotto il Vesuvio e lascia spazio al proliferare dei vicoli napoletani. Due poliziotti della squadra mobile - diversissimi tra di loro e poco propensi ad aprirsi uno con l'altro, collaborando solo per quel minimo che si rivela necessario per portare a termine il loro impegnativo lavoro - sono ognuno impegnato a far quadrare la propria vita professionale con la sfera privata, in bilico verso l'abisso.

Uno dei due, il più giovane, rissoso, caratteriale e tutto scatti brutali, deve gestire una profonda crisi morale che è subentrata da quando, durante un inseguimento con sparatoria, d'istinto ha per errore sparato ed ucciso una innocente: per questo la sua stabilità mentale e psichica vacilla e lo spinge ad atti inconsulti, con scatti di violenza incontrollata ai danni di chi è in qualche modo legato al clan che stava cercando di catturare durante l'azione.

L'altro, solitario e malinconico, arrotondava la sua paga allenando cani da combattimento utilizzati nelle sfide clandestine.

Quando il capo della Mobile (lo interpreta Pippo Delbono), inquisito per supposte infiltrazioni con la malavita, gli si uccide davanti agli occhi nel proprio appartamento, all'uomo non resta che prendersi cura del mansueto cagnone del suicida, che si rassegna a seguirlo, indugiando a concedergli confidenza immediata: diventeranno tuttavia uniti come una cosa sola, con una intesa che non prevede colloqui o chiassose vie di comunicazione, ma solo intensità di sguardi e fraterna reciproca considerazione.

Quando la mala cinese cerca di indurre quest'ultimo a vendergli l'animale ad una cifra altissima, per impiegarlo fruttuosamente nei sanguinosi combattimenti da scommessa, e il padrone sdegnato rifiuta, il suo collega ritiene che quella cifra potrebbe pagare la libertà della bella cinese conosciuta per caso in un centro massaggi, dalla finestra del quale la donna è risultata unico testimone oculare di un omicidio a sangue freddo compiuto dal poliziotto ai danni di un corriere della mala.

Un cane contro la libertà di una donna e della sua bambina: lo scambio parrebbe moralmente pertinente, ma si rivela inaccettabile ed anzi la vera scintilla per miccia che farà esplodere una vera e propria guerra fatale e dalle conseguenze letali.

Toni D'Angelo, figlio del cantante Nino che qui appare ancora una volta (ma solo come comparsa velocissima) nel ruolo di un tassista (in una notte lo stesso cantante aveva un ruolo ben più sfaccettato sempre del medesimo tenore) si dà al genere e sforna un film veloce, di buon effetto scenico, con scene d'azione girate bene e validamente concitate.

La sceneggiatura impiega quasi 3/4 della sua durata per costruire un efficace sfondo di luoghi, personaggi e situazioni e si vede costretta a velocizzare un finale in cui tutto deve alla fine quadrare e risultare almeno coerente.

Ne risulta un film improbabile, ma con personaggi forti, solenni, ben delineati seppur poco originali. Un film che ha la dignità di riaprire degnamente un genere come quello del "poliziottesco", che ci ha reso esportabili nel mondo tra i '60 e i '70.

A rendere il meglio plausibile possibile i due forti controversi e sbandati personaggi principali, due validi interpreti, molto noti anche al pubblico televisivo, come Fortunato Cerlino e Michele Riondino contribuiscono ognuno sfaccettando il proprio uomo, facendo emergere molto bene lo stato d'animo della preda braccata più da rimorsi interiori che da fattori materiali esterni, peraltro minacce esistenti, concrete e micidiali.

Pertanto Falchi, per nulla esente da qualche limite, forzatura o ingenuità di fondo, resta pur sempre un dignitoso e coraggioso tentativo di tornare a produrre e dirigere qualcosa di genere che non sia la solita commedia leggera e sciapa che ogni settimana affolla il panorama delle nostre uscite nazionali impegnate a farsi varco sui titoloni americani.

Citazioni-omaggio profuse e pertinenti a favore di uno dei padri del genere quale è Fernando Di Leo e il suo capolavoro forse massimo che è Milano calibro 9 ed un finale in stile Le iene (di Tarantino.....of course)

Chapeau.

 

 

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