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Tommaso

Regia di Kim Rossi Stuart vedi scheda film

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M Valdemar

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La recensione su Tommaso

di M Valdemar
6 stelle

 

locandina

Tommaso (2016): locandina

 


Un po' uomo, un po' maschera di - tutti i - sé, un po' personaggio del film nel film addentro l'impossibile film chiamato vita, Tommaso/Kim si aggira (s)perduto e inquieto per le caotiche vie della propria identità interrotta, indefinita, banale.
E qual miglior modo di rappresentarlo/rappresentarsi se non attraverso l'incomprensibile imprescindibile irrappresentabile mondo delle donne? Donne - e corpi/pezzi/interpretazioni di donna e vagine e in sogno - ovunque: la madre che gli chiede soldi e affetto, la manager protettiva, le tre amanti compagne di fasi diverse eppure tutte terminali come malattie necessarie.
L'esistenza stessa: angosce, insicurezze, tormenti e ossessioni (il nido di processionaria: vermi nella testa e oltre la realtà), visioni in sogno (perlopiù donne, perlopiù nude, da prendere con forza: «Vedo donne dappertutto, l'inferno!»), desideri, ricordi e prospettive, reputazioni da difendere (l'attore impegnato che vuole dirigere un film fatto di soli sogni costretto a firmare per una commedia: e incubo fu), confessioni ora sussurrate ora urlate sempre in punta di insincerità autoassolutoria, e la maniacale ricerca di difetti fisici nella partner per mettere distanza (i denti storti di Jasmine Trinca, l'attaccatura dei capelli di Cristiana Capotondi). Per trovare conforto - riparo materno - nella propria «caverna di solitudine».
Processo e viaggio mentali che trovano riscontro nel quotidiano (di noi tutti), nelle direzioni sconnesse della vita, nelle enigmatiche, allucinatorie elaborazioni psichiche: un errare intimo e intimista per tappe di autenticità e soste riflessive, verso la meta del trovare se stessi (forse).
Un viaggio-film, quello di Kim Rossi Stuart, che, tra isterismi e nannimorettismi assortiti, allegorismi e onirismi (anche autoindotti: il sogno ad occhi aperti si travasa, in qualche misterioso modo, in quello profondo del dormiente), narcisismi e onanismi introspettivi, tendenti all'irritante, si rivela una lunga seduta (auto)psicoanalitica. "Vera" e verosimile quanto basta (davvero importa?), frammentaria e scialba e confusa come lo sono i giorni che passano, medi(t)ata attraverso contenuti e luoghi filmici.
Il passo balbettante, il fiato corto, la regia non propriamente ispirata, la performance dell'attore-regista (troppo) enfatica (meglio le attrici, tutte) e un finale superficiale ridimensionano la portata di un'opera comunque vitale e sincera.

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