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Il diritto di contare

Regia di Theodore Melfi vedi scheda film

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La recensione su Il diritto di contare

di alan smithee
6 stelle

Tre donne toste per salvare l'America nel suo primato di conquista dello spazio conteso all'Urss. Ma pure tre donne tenacemente protese a far valere i diritti di una razza sfruttata e calpestata. Un film che rischia di svilirsi nella melassa di sdolcinature insopportabili, sorretto in extremis da un brio di tre attrici davvero brave e generose.

L’irresistibile storia di tre donne che, negli anni Sessanta dellaconquista spaziale, contribuirono in modo determinante, anzi esclusivo, alla messa a punto dei primi viaggi orbitali con a bordo un essere vivente.

Tre donne che, oltre a questi meriti eccezionali, si fecero promotrici di un altro fondamentale tassello che condusse alla parificazione dei diritti della popolazione nera, a quei tempi ancora relegata a patire odiose sperequazioni di trattamento rispetto a quella bianca.

Infatti le tre donne sono tutte di colore, e il loro ingresso alla Nasa diviene oggetto di invidie, clamori, perplessità da parte di uno staff prevenuto e deciso a mantenere le distanze da una casta considerata ancora come inferiore.

La storia è emblematica e straordinaria, sia per l’impresa che ognuna delle tre donne riuscì a compire (dalla più eclatante, quella della matematica che si prese carico di calcolare l’esatta orbita di ammaraggio della sonda contenente il pilota John Glen, a quella della donna a capo della prima squadra a supporto del computer IBM, a quella, più privata ma comunque molto importante, della prima donna di colore ad ottenere una laurea in ingegneria presso una delle più prestigiose università americane, rigorosamente riservati alla casta bianca maschile.

Nel raccontare la complessa e multi-sfaccettata vicenda delle tre eroiche ed irriducibili donne, il regista medio Theodore Melfi si impegna a mantenere tutti i luoghi comuni di una rappresentazione cartolinesca e certo edulcorata sino all’inverosimile della società anni ’60: senza peraltro inventare nulla o esagerare in nulla nella importante denuncia della sofferta situazione da segregati o cittadini di serie B in cui viveva la comunità nera dell’epoca. Arricchendo anzi il contesto di situazioni familiar-sentimentali che definire caramellose è ancora dire poco.

Tuttavia, e per fortuna, il film ha dalla sua un bel piglio da commedia scoppiettante che alterna l’importanza di una denuncia civico-etica allo sprint di una descrizione di tre caratteri forti di donne tenaci ma anche simpatiche e briose, che riescono ognuna a ritagliarsi siparietti divertenti e spigliati che danno carattere al complesso della vicenda, facendoci accettare certe scontatezze o colpi bassi di scrittura, come il personaggio stereotipato quasi da cowboy facilone, ignorantello, ma di cuore e coraggioso come quello di John Glen.

Onore e allori alle tre attrici protagoniste, Taraji P. Henson, la più nota Octavia Spencer, sempre irresistibilmente comica, e la bella e sexy Janelle Monae, già vista in Moonlight.

Kevin Costner dà vita ad uno dei molti personaggi stereotipati del film, quello dell’americano severo e ligio al dovere che sa ritornare sulle sue decisioni, maturando la consapevolezza di errori preconcetti suoi e della società fondata sulle tradizioni da lui difese e condivise con troppa convinzione e poco spirito di critica osservazione, ma nel complesso il suo personaggio può ritenersi accettabile.

Il film potrebbe essere paragonato, per ambientazione storica e per i valori di cui si fa promotore, al recente e parzialmente riuscito The Help, lo stesso che vide trionfare all’Oscar la Spencer qui presente.

 

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