Regia di Theodore Melfi vedi scheda film
Siamo sicuri che a Spike Lee il film non è piaciuto. Convinto assertore del risveglio dell’orgoglio nero il regista di “Fai la cosa giusta” è da sempre assertore di un cinema che sia espressione di un punto di vista interno alla comunità afro americana e non il surrogato di idee e motivazioni esterne al contesto di riferimento. Come per ragione di natali lo sono quelle di Theodore Melfi il regista di “Il diritto di contare”, titolo italiano del più azzeccato “Hidden Figures”, biopic dedicato all’eroismo quotidiano di Katherine Johnson e delle colleghe Dorothy Vaughn e Mary Jackson, matematiche della NASA costrette a battersi con le armi della ragione e del buon senso per vedere riconosciute le loro prerogative di donne e professioniste. Siccome si tratta di persone realmente esistite ed entrate nella storia del paese per aver contribuito con il talento matematico di cui disponevano alla messa in orbita del primo razzo statunitense capace di completare un’orbita completa delle terra, “Il diritto di contare” deve la riuscita drammaturgica al contrasto tra l’anonimato esistenziale da cui in una maniera o nell’altra le protagoniste trovano il modo di uscire e l’importanza del momento storico in cui esse sono immerse e a cui, indirettamente, grazie alla straordinaria efficacia del loro lavoro, contribuiscono a definire.
La storia del film è infatti collocata negli anni (sessanta) della corsa alla conquista dello spazio e della cosiddetta guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, della quale la sfida nella terza dimensione è forse la più epica delle sue rappresentazioni. Ma soprattutto in un’epoca in cui le attrattive del sogno americano, così come si era formato negli anni post bellici era ancora al riparo dalle conseguenze dei drammatici eventi (primo tra tutti la morte di JFK, icona celebrata anche dal nostro film) che di li a poco ne avrebbero messo in discussione la fattibilità. Di questa sorta di quiete prima delle tempesta da conto il regista eliminando, attraverso l’incrollabile ottimismo delle protagoniste, qualsiasi aspetto che possa riportare lo spettatore ad una dimensione realistica dei problemi affrontati dalle donne nel corso della storia. Così facendo “Il diritto di contare”, con la sue nostalgie e le sue riconciliazioni, più che affondare il coltello nelle piaghe di una società intollerante e sessista diventa il laboratorio in cui sperimentare e offrire spunti per nuove forme di convivenza sociale. Grazie anche a un gruppo di attrici come Taraji P. Henson, Octavia Spencer, Janelle Monáe capaci di far battere il cuore delle spettatore dalla prima e ultima scena.
(icinemaniaci.blogspot.com)
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