Regia di Maren Ade vedi scheda film
Insegnante di pianoforte in pensione, Winfried vive la giornata con dei "lavoretti" con le scuole o dando lezioni private non particolarmente richieste, ma sempre mantenendo la predisposizione al buon umore, agli scherzi e al travestimento. Nella sua vita poche persone di riferimento: il fratello con cui bisticciare, l'ex-moglie con cui condividere qualche festicciola e una mamma anziana ancora lucida e prodiga di consigli; e poi la compagnia di un vecchio cane ormai cieco (novello Argo), che un giorno alla fine muore, lasciandolo inebetito.
La sua reazione è allora di andare trovare la figlia che lavora come manager in una Multinazionale a Bucarest e che vede ormai molto di rado; l'impulso è tale che parte senza preavvisarla, piombando da lei proprio alla vigilia di una delicata operazione finanziaria...
La regista Maren Ade, praticamente sconosciuta al grande pubblico, si impone all'attenzione di critica e pubblico prima a Cannes e poi all'European Film Awards con quest'opera tanto interessante quanto originale.
Innanzitutto va precisato che è un film profondamente malinconico, ma è anche un film in cui ci sono scene esilaranti quando meno te l'aspetti. Qualcuno direbbe che è proprio così che si realizza una commedia con questo mix di riflessioni ed esuberanze, scherzi e tristezze.
I due protagonisti assoluti sono un padre in età senile che elabora la necessità di recuperare il (tanto) tempo perduto, ma con un modo d'agire sopra le righe e apparentementte sconclusionato, e sua figlia, la donna in carriera tutta d'un pezzo, incapace di perdere il controllo e soprattutto incapace di riflettere sulle domande-base della vita ("sei felice?"), che non sembra possano mai veramente incontrarsi, figuriamoci capirsi!
Ed è qui che la Ade si gioca il jolly, realizzando un film lungo quanto uno della Marvel, ma dove le cose che succedono non sono azioni fisiche (al limite anche quelle), ma movimenti dell'anima imperlati talora da inquadrature staticamente indugiate e "imbarazzati" silenzi.
Ma la inconsueta durata del film serve proprio al pubblico per poter penetrare quella dicotomia, riconoscerne le ragioni e poi piano piano avviare la ricomposizione della drammatica lacerazione, tra tanti sorrisi e qualche lacrima.
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