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Vi presento Toni Erdmann

Regia di Maren Ade vedi scheda film

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La recensione su Vi presento Toni Erdmann

di yume
8 stelle

Entrambi vittime, Winfred e Ines, ed entrambi carnefici, Maren Ade è spietatamente lucida nel distribuire i ruoli. Fino al punto d’incontro, che arriva, va atteso con pazienza, spesso con irritazione.Ma arriva e, come tutto il film, non consola né dispera, come la vita, che è solo da vivere, senza però dimenticarsi di farlo.

locandina

Vi presento Toni Erdmann (2016): locandina

La prima sequenza va guardata bene, e tenuta a mente, c’è già tutto il film.

Retro di una casa di periferia, una qualsiasi del vecchio mondo dove i bidoni della raccolta differenziata sono protagonisti di primo piano.

E un postino, o meglio, uno di quegli omini che ti piombano in casa quando meno te l’aspetti a consegnarti un pacco. E fortuna se ci sei.

Questo è paziente, sa aspettare dopo aver suonato due volte, non lascia subito l’avviso di giacenza, e ben gliene incoglie (al destinatario, s’intende).

Chi apre è Winfred (Peter Simonischek), alias, dopo qualche sequenza, Toni Erdmann, già in vena di scherzi.

Dice che il pacco è per il fratello Toni, “appena uscito dal carcere”, uno che è stato dentro perché dedito alla costruzione di pacchi bomba.

Il corriere ha una faccia che è un display su cui scorrono sconcerto, perplessità, creduloneria subito ricacciata indietro da immediato allarme, infine divertimento, ma solo un po’, più che altro ha voglia di andarsene al più presto, magari per raccontare ad un collega quanti matti ci sono in giro. E non dice neanche una parola.

 

Peter Simonischek

Vi presento Toni Erdmann (2016): Peter Simonischek

Applauditissimo a Cannes 2016, ma nessun riconoscimento, premio Fipresci della critica internazionale, Lux come miglior film europeo, cinque riconoscimenti all’Efa – due alla bravura degli attori Hüller e Simonischek – candidatura come miglior film straniero agli Oscar, Vi presento Toni Erdmann ha crediti sufficienti per un film che divide, e allora c’è chi esce dopo mezz’ora dalla sala e chi invece resta per 162 minuti, soggiogato da una regia che coinvolge senza strizzare l’occhio, mai, neanche di fronte al palazzo di Ceausescu o al lussuoso ufficio con grandi vetrate di cristallo affacciato sulla baraccopoli.

 

Sandra Hüller, Peter Simonischek

Vi presento Toni Erdmann (2016): Sandra Hüller, Peter Simonischek

L’amore paterno e il disamore filiale al tempo della delocalizzazione, la Romania e i rampanti manager locali in affari con quelli venuti da lontano, una figlia da un pezzo in età da marito che da Shangai a Singapore, passando per Bucarest, deve sistemare un affare delicato di licenziamenti di massa per conto della società petrolifera per cui lavora (sei una belva è il miglior complimento per lei), vive incollata al cellulare e se scopa svogliata con un collega è solo per un momentaneo break sul ruolino di marcia.

Rappresentare le disfunzioni del presente è impresa ardua, il rischio predicozzo morale è sempre in agguato, quando non si cade nell’eccesso opposto pigiando sul pedale dell’umorismo a basso costo.

Maren Ade invece vola alto e in solitudine.

Ci dice tutto quel che c’è da dire con la calma serenità del saggio, e così capita di pensare a Lucrezio e ai suoi templa serena :

 

Suave, mari magno turbantibus aequora ventis

e terra magnum alterius spectare laborem;

non quia vexari quemquamst iucunda voluptas,

sed quibus ipse malis careas quia cernere suavest.

 

(È dolce, quando sul vasto mare i venti turbano le acque, guardare da terra la grande fatica altrui, non perché sia un dolce piacere che qualcuno soffra, ma perché è consolante vedere di quali mali tu stesso sia privo).

 

In questi tristi tempi in cui bisogna scusarsi per l’uso del latino, non dimentichiamo che tutto si svolge in Romania, e il nome dovrebbe dire qualcosa.

 

Sandra Hüller

Vi presento Toni Erdmann (2016): Sandra Hüller

Nella seconda sequenza appare Ines, la bionda ed esile figlia di Winfred, che fa una delle sue rapide e rare apparizioni nella casa di famiglia.

La madre, figura scialba e ininfluente, le ha organizzato la festa di compleanno in anticipo (dimenticando quanto porti sfortuna una cosa del genere) e Winfred, che vive solo con un cane tra poco defunto, capita lì senza saperlo.

Lui è spiazzato, Ines è gentile, asettica, del tutto prosciugata sul piano delle emozioni.

A Winfred non resta che giocare la sua ultima carta di genitore che ha visto la figlia prendere la direzione opposta rispetto a tutti i suoi modelli di riferimento.

Il film parte così e si muove lungo traiettorie che, mentre paiono stralunate, spesso incoerenti o grottesche, hanno il vero sapore della vita, le sue strade sporche e maleodoranti, tutte le contraddizioni che giornalmente vediamo sfilare davanti ai nostri occhi senza neanche porci il problema se accettarle o rifiutarle.

L’indifferenza regna sovrana, ed è per questo che Winfred usa l’arma del comico, la più tremenda e la più amara.

Ribaltare il reale, svelarne il triste retroterra e riderne, ma senza divertirsi, senza più riuscire a volare, se mai ottenere che una lacrima spunti, improvvisa, fra le ciglia.

Film durissimo, che schiaccia tutti con la domanda improvvisa: “Ma tu, sei felice?”.

La figlia risponde con sofismi, le parole si fa presto a svuotarle di significato, resta quell’antico amore che, nonostante tutto, resiste, tra un padre e una figlia, e un padre può anche decidere di fare il pagliaccio pur di risvegliarlo in lei, giovane donna in carriera, membro onorario di un’umanità lanciata a capofitto verso il nulla.

Essere un altro da sé, essere Toni Erdmann, una maschera, il suo doppio, fare della vita un palcoscenico dove trovare un autore che rimetta a posto i ruoli smarriti.

Winfred gioca una carta molto difficile, il suo corpo massiccio, affaticato, preoccupa, fa temere che non riesca nell’impresa.

“Una storia d’amore in un mondo in cui l’amore non esiste più”, capita di dirlo parlando di coppia.

Maren Ade lo fa parlando di un padre e di una figlia in un mondo in cui la lotta è diventata improba, non è più solo gap generazionale, si tratta di molto peggio.

Si tratta di monadi hobbesiane senza porte né finestre che avanzano nel tempo fino al giorno finale.

Si mette la spunta sull’elenco degli impegni e ci si dimentica di vivere”.

Ed è così che un mondo arcaico, semplice, dove la morte di un cane ancora fa soffrire o il vecchio contadino che ti dà un rotolo di carta igienica ti sembra un amico, entra in rotta di collisione con un pianeta dove si parla una lingua incomprensibile seduti intorno ad un tavolo di acciaio e cristallo, si decide di gettare sul lastrico senza sporcarsi le mani centinaia di persone e si sniffa coca di sera in locali per vip.

Entrambi vittime, Winfred e Ines, ed entrambi carnefici, Maren Ade è spietatamente lucida nel distribuire i ruoli.

Fino al punto d’incontro, che arriva, va atteso con pazienza, spesso con irritazione e certi che se ne uscirà delusi.

Ma arriva e, come tutto il film, non consola né dispera, come la vita, che è solo da vivere, senza però dimenticarsi di farlo.

 

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