Regia di Dorota Kobiela, Hugh Welchman vedi scheda film
La fattura di questo film è di una bellezza abbagliante e sconvolgente; il film poi merita pure.
Anche qua la mia rivista di fiducia, Film Tv, non mi fece un buon servizio: il film fu recensito da un solo critico, come fosse una pellicola come tante altre, e lo stesso critico non dimostrò questo grande entusiasmo, tutt’altro. Cazzate, verrebbe da dire, perché questo film è una vera opera d’arte. I quadri di Van Gogh, infatti, qua prendono vita: sono stati magistralmente rifatti grazie all’opera di decine di pittori e costituiscono i fondali o i veri e propri ambienti in cui si svolge il film. Gli attori stessi sono stati poi resi nello stile di Van Gogh (anche qua, in maniera superba, e il continuo muoversi dei colori è qualcosa di incredibile), di modo che il tutto appare come un film d’animazione, in cui si mescolano l’opera originale del genio e il lavoro rifatto ora, con riproduzioni di vari capolavori che si animano per raccontare una bella storia. Questa parla di un giovane che è inviato dal padre, un dirigente postale, per consegnare una lettera al fratello di Van Gogh, Teo. Ma poiché costui, come si vedrà, è nel frattempo morto, il protagonista dovrà fare un lungo giro, ascoltando chi conobbe Van Gogh e ripercorrendo molti dei luoghi dipinti dal sommo pittore. Infine la lettera verrà consegnata al dott. Gachet, che svelerà al protagonista perché è convinto che Vincent si sia suicidato e non, come apparirà a un certo punto, che sia stato ucciso.
Tutto quanto detto finora, a fatica e sinteticamente, è molto meglio vederlo di persona….se si apprezza e conosce Van Gogh, se no il film si può anche saltare. Io che sono matto per i suoi quadri mi sono goduto come un riccio questo bel film, e pare che così sia stato anche per il grande pubblico, che è rimasto entusiasta dell’operazione. Il tutto, va ripetuto, è una realizzazione magnifica e a sua volta un’opera d’arte, un film fantastico, unico, originale. Per me è scontato un 8, non un capolavoro, certo, perché poi a un certo punto un minimo di fatica nella visione si avverte; poi però c’è lo splendido finale che ti tira per la giacchetta per avere un 9, ma no, 8 è il voto giusto.
Il titolista italiano per una volta non ha distrutto il titolo, che è bellissimo, dato che ricorda come si firmava Van Gogh nelle lettere al fratello (con affetto, Vincent) ma si può anche tradurre in Amando Vincent, la sua storia, la sua pittura, che sono un po’ il simbolo del perché l’umanità non funziona: uno dei più grandi pittori di sempre, che in vita non riuscì a vendere che un quadro, mentre ora anche una sua opera minore viene battuta per milioni di euro, con i musei di tutto il mondo pronti a vendersi la madre (del custode, magari), per averla. Insomma, dove vogliamo andare, se uno dei più grandi artisti di tutti i tempi credeva di essere una totale nullità e di ciò si disperava, ma sentiva che i suoi quadri volevano dire qualcosa, peccato che in vita fosse quasi l’unico a pensarla così. Ma tant’è, poi almeno vengono fuori film come questi, estremamente necessari. Una botta di cultura e un’overdose di cibo per la mente. Stento a crederci, ma è vero: il film uscì in Italia per soli tre giorni, ma in quei tre giorni fu preso d’assalto dal popolo italiano, facendo spesso il tutto esaurito nei cinema che lo proiettavano. Venne candidato agli Oscar tra i film di animazione, anche se è difficile catalogarlo in tale modo, e comunque venne battuto da Coco, che è un film semplicemente sublime. Ebbe un buon successo al botteghino e attestati di stima in tutto il mondo.
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