Regia di Dorota Kobiela, Hugh Welchman vedi scheda film
Loving Vincent ci racconta di un uomo che scelse, o sarebbe meglio dire, fu scelto dall’arte per parlare di sé e degli altri, del mondo in cui viveva e del suo grande amore per il creato. Ma anche della sua grande tristezza.
Una pittrice polacca Dorota Kobiela e il regista inglese Hugh Welchman, oltre 1000 dipinti rielaborati per un totale di 65.000 fotogrammi realizzati da125 artisti con lo stile di Vincent, attori famosi abbinati per somiglianza ai ritratti che l’artista realizzò per tutti gli anni, pochi, in cui dipinse, una campagna di finanziamento su Kickstarter, piattaforma di crowfunding, il formato 4:3 per restare il più possibile vicino alle tele originali: tutto questo e molto più per un film-dipinto, un esperimento pienamente riuscito se badiamo alla novità e alla tecnologia d’avanguardia, ma soprattutto un film che, potremmo dire, esegue le volontà testamentarie di Vincent, che scriveva al fratello Theo il suo desiderio più grande, che tutti un giorno capissero con quanta tenerezza guardava il mondo.
Loving Vincent, appunto, la sua firma con affetto, quello che lo portò fra le miserie del Borinage, bacino carbonifero del Belgio, a vivere anni con quei minatori che restarono sempre con lui, anche fra i campi di lavanda della Provenza.
Non una biografia, solo il pretesto di una specie di inchiesta post mortem sul suicidioper entrare, in realtà, dentro i suoi quadri e quindi dentro di lui.
Quello che, con altri mezzi e tecnologia, aveva fatto Kurosawa nel penultimo quadro di Sogni (1990), con Scorsese come Van Gogh “con l’orecchio bendato che ringhia all’ammiratore, che ha scavalcato i confini dell’immaginario in quel museo pieno di girasoli e campi di lavanda, di non poter perdere tempo con lui, il sole lo costringe a dipingere … e poi dentro di sè troverà il vuoto, mentre uno stormo di corvi neri si alza gracchiando sul campo di grano”?
“ … per il mio lavoro rischio ogni giorno la vita, e vi ho perduto metà della mia ragione” aveva scritto Vincent a Theo in quell’ ultima lettera mai spedita che gli trovarono addosso il giorno in cui si sparò, in mezzo a quei campi che aveva percorso, con tele e cavalletto, ogni giorno, ogni notte, nella luce abbacinante del sole o sotto la cupola di stelle.
Conoscere le cose della vita di Vincent non è come vederla uscire dai suoi quadri.
Biopic autorevoli circolano da anni, documentari inglesi, francesi, tedeschi di ottima fattura sono ospitati in mediateche di prestigio, ma immaginare di raccogliere centinaia quadri sparsi nei musei del mondo o nelle case dei collezionisti e sistemarli davanti a noi, farli muovere, parlare, dirci quello che lui voleva dirci di sé, del suo tormentato ma anche dolcissimo mondo interiore, questo è merito di Loving Vincent e questo ha decretato il suo grande successo.
Quando l’artista muore resta la sua arte, “ Non vivo per me, ma per la generazione che verrà” , ma la pena quotidiana esiste e la vediamo in quelle linee, nei colori, nei vuoti e nei pieni di quelle immagini.
“Uno può avere un focolare ardente nell'anima e tuttavia nessuno viene mai a sedervisi accanto. I passanti vedono solo un filo di fumo che si alza dal camino e continuano per la loro strada.“
Loving Vincent ci racconta di un uomo che scelse, o sarebbe meglio dire, fu scelto dall’arte per parlare di sé e degli altri, del mondo in cui viveva e del suo grande amore per il creato.
Ma anche della sua grande tristezza.
“ Non posso cambiare il fatto che i miei quadri non vendono. Ma verrà il giorno in cui la gente riconoscerà che valgono più del valore dei colori usati nel quadro.”
Starry, starry night
paint your palette blue and gray
look out on a summer’s day
with eyes that know the darkness in my soul
shadows on the hills
sketch the trees and the daffodils
catch the breeze and the winter chills
in colors on the snowy linen land
Now I understand
what you tried to say to me
how you suffered for your sanity
how you tried to set them free
they would not listen they did not know how
perhaps they’ll listen now
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