Per quanto anomala nella gestazione produttiva la presenza nel calendario delle uscite italiane di un film come "Monolith" non è per nulla casuale, ma conseguente all'esplosione di interesse che esiste da un po' di tempo a questa parte nei confronti della cinematografia di genere. Un' attenzione che ha portato un colosso come Rai Cinema a investire una parte dei suoi soldi nello sviluppo di questo tipo di progetti , e, per esempio, un festival colto e cinefilo qual'è Locarno, a selezionare - in concorso e non - un folto numero di lungometraggi dedicati a questa tipologia di cinema. La continuità del contesto in cui si inserisce il film di Ivan Silvestrini non deve però farne dimenticare l'eccezionalità del percorso realizzativo. "Monolith", infatti, parte da un'idea (e dall'omonima graphic novel) di Roberto Recchioni, figura di riferimento del fumetto italiano per l'attività di curatore e sceneggiatore della Bonelli Editore, dove, tra le altre cose, ha sostituito Tiziano Sclavi alla guida della serie dedicata a Dylan Dog. Trasferito sul grande schermo il soggetto di Recchioni diventa la sceneggiatura di un film (scritto dallo stesso regista insieme a Mauro Uzze, Elena Bucaccio e Stefano Sardo) indipendente, girato interamente negli Stati Uniti e interpretato da attori locali. La vicenda di "Monolith" si basa sul paradosso rappresentato dalla presunta perfettibilità dell'automobile (la Monolith del titolo) sulla quale viaggiano Sandra e il suo figlioletto. Super accessoriata e concepita per salvaguardare l'incolumità dei passeggeri, a causa di un guasto del sistema di bordo, la Monolith,, si trasforma in una sorta di prigione per il bambino della donna, la quale, sola e in mezzo al deserto, dovrà trovare il modo di farlo uscire dall'abitacolo prima che sia troppo tardi.
Strutturato come un action thriller, in cui la tensione nasce non solo dal fatto che la protagonista si ritrova a combattere contro un nemico tanto letale quanto invisibile, ma soprattutto per la corsa contro il tempo che scandisce la progressione narrativa della vicenda, "Monolith" nella sua forma da road movienon si sottrae al compito di mettere in scena il "romanzo di formazione" del suo personaggio. Sandra (la brava Katrina Bowden) , infatti, all'inizio della storia appare una persona indecisa e poco sicura , tanto come moglie alle prese con un matrimonio che non riesce a gestire (il marito Carl è sempre lontano da casa e forse la tradisce), quanto come madre, inseguita dai fantasmi del proprio passato, e tormentata dalla ansie tipiche di chi è appena diventato genitore. In questo modo, quelle che potrebbero sembrare delle sequenze riempitivo, e ci riferiamo per esempio all'inserto in cui, disturbata dai propri fan, l'ex cantante è costretta a rimettersi velocemente in marcia, diventano il realtà il parametro su cui misurare la metamorfosi della donna. La quale, messa di fronte alle proprie paure (quella di perdere il figlio) fa ricorso al proprio istinto di conservazione, escogitando una serie di espedienti che sono allo stesso tempo gli snodi narrativi attraverso cui si sviluppa la trama e gli step di una presa di coscienza, in cui l'acquisizione della necessaria autostima da parte di Sandra deriva dal superamento delle difficoltà che si presentano al suo cospetto.
Alla pari di "2Nights", l'ottimo Silvestrini - che si è fatto le ossa come regista di web series - riesce con pochi elementi a creare un universo coerente ed appassionante, dove questa volta a farla da padrone non è l'abitacolo della macchina all'interno della quale si confrontavano i personaggi di Matilde Gioli e Matteo Martari, bensi lo spazio esterno ad essa. Ed è proprio la capacità che ha Silvestrini di filmare il paesaggio americano, facendone contemporaneamente il territorio dove si svolge l'azione e il luogo attraverso il quale si compie l'escursione esistenziale della protagonista, a rendere "Monolith" un film pienamente connesso con il genere di riferimento e pure con la realtà che racconta. Esemplare, a riguardo, è la gestione delle pause che separano la ripresa delle operazioni, soprattutto nella seconda parte, caratterizzate da immagini in campo lungo e lunghissimo, dove la compenetrazione tra la figura di Sandra e la morfologia della natura desertica diventano il segno della armonia interiore finalmente raggiunta dalla protagonista. Penalizzato dalla data d'uscita, "Monolith" è cinema d'autore che intrattiene e diverte. Senza dimenticare che , nel presentarsi come la storia di una donna costretta ad assumersi competenze e responsabilità prettamente maschili, il film di Silvestrini coglie come meglio non si potrebbe lo spirito del proprio tempo.
(pubblicata su ondacinema.it)
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