Regia di Ivan Silvestrini vedi scheda film
Femmina e macchina: l'una bella e vulnerabile, l'altra potente e implacabile nella sicurezza "ottusa" che sa garantire. Silvestrini pensa al mercato internazionale con un thriller veloce, ben diretto, purtroppo afflitto da una sceneggiatura incerta e zoppicante, non all'altezza per puntare al b-movie cult a cui potrebbe ragionevolmente tendere.
AFA ESTIVA & BRIVIDI HORROR
Super mamme in super Suv: le vediamo ovunque, in città, attorno alle strade che cingono le scuole, spesso in tailleur, minutissime ed in tacchi a spillo, alla guida di bolidi immensi, mentre si destreggiano (o spesso improvvisano) in manovre improbabili attraverso le inadeguate strade strette dei nostri centri storici cittadini, collezionando urti e graffi sulla carrozzeria metallizzata che li avvolge come un abito da sera.
Ci voleva dunque, almeno sulla carta, un film che celebrasse questa discutibile nuova tendenza: meglio ancora se, come in questo caso, sotto forma di un thriller, girato all’americana, formulato come una lotta per la sopravvivenza dopo che una super vettura, concepita per assicurare sicurezza assoluta e totale, si comporta in tal senso, inflessibilmente, divenendo una minaccia.
Una ex rock star e mamma giovane e bella, ha ricevuto in regalo dal marito produttore un Suv di nuova generazione in grado di assicurarle il massimo gradi di sicurezza e protezione all’interno del veicolo.
Sorprendiamo la donna impegnata a raggiungere la casa dei suoceri situata in pieno deserto, con a bordo il figlioletto poco più che neonato, un bimbo affetto da qualche problema di respirazione.
Durante il viaggio, anche a causa di uno stress nervoso causato dai timori di essere continuamente cornificata dall’aitante marito (per di più con una ex collega della band che le assicurò un effimero ma planetario successo musicale. La hit prescelta si intitola Skylantis, ed è un pezzo noto, utilizzato anche a fini pubblicitari), la donna si lascia andare a distrazioni e comportamenti poco prudenti e, in seguito al panico occorso dopo l’investimento accidentale di un cervo, si ritrova fuori dell’abitacolo, impossibilitata a rientrare, dopo che il figlioletto, giocando innocentemente col cellulare della mamma, si addentra inconsapevolmente nei meandri dell’app. telefonica che comanda i sensori di sicurezza della vettura.
Sola, vulnerabile, in pieno deserto, con un bambino nella vettura così sicura e blindata da renderla inaccessibile, e dunque una reale minaccia, potrà la donna riuscire a superare la grave impasse e ritornare padrona della situazione?
La risposta è scontata, ma non è certo questo il problema del film, che, nonostante i limiti ed i difetti di scrittura, ha molte valide carte da giocarsi.
L’ambizione del progetto, innanzi tutto, non nuovo per una produzione italiana che, per una volta, ha intenzione di guardare e confrontarsi col mercato globale e lo fa in modo dignitoso, accettabile: ricordo in passato Mamba, di Mario Orfini, riuscito thriller claustrofobico incentrato sulla sfida tra una donna inerme ed un serpente velenosissimo all’interno di un loft blindato; o il più recente Mine, del duo registico dei Fabio, Guaglione e Resinaro (casualità vuole che tutti e tre le insolite produzioni con ambizioni internazionali inizino per “M”).
Monolith, tratto da un soggetto di Roberto Recchioni, autore con Mario Uzzeo della un po’ avventata sceneggiatura, che ha dato origine anche ad una graphic novel, ha in incipit potente e di taglio documentaristico, in cui ci vengono, direttamente e senza mezzi termini, spiegate le ragioni della creazione e del lancio in società del nuovo modello ultra sicuro e altamente computerizzato di veicolo.
Poi, purtroppo, la vicenda si catapulta di petto sulla bionda e bellissima protagonista (Katrina Bowden, conosciuta soprattutto per alcuni serials tv), e sul piccoletto dall’aria talvolta inquietante che occupa il sedile posteriore, al sicuro entro una morsa implacabile fornita dal seggiolino per infanti, scordandosi o tralasciando tutto il resto, scegliendo di non approfondire, ad esempio, le ragioni che inducono la famiglia a dotarsi di quel mezzo, né di sviscerare le ragioni di una crisi familiare di sottofondo che rende vulnerabile la donna, ed esposta al rischio di atti od atteggiamenti che la portano a sfidare la sicurezza “implacabile” della sua minacciosa black car parlante, alias un Suv di una famosa casa automobilistica doverosamente (ma anche un po’ rozzamente – i cerchi neri sono davvero posticci e ridicoli!!) camuffato (curiosità: la voce di “Lilith appartiene alla star di Beautiful, Katherine Kelly Lang).
La conseguenza è che madre e figlio divengono molto presto realmente insopportabili, tanto da spingere noi spettatori crudeli a pensare di meritarsi tutto lo spavento ed il pericolo, fisico e psicologico, che occorre loro lungo tutto il tempo di quell’incubo in pieno deserto.
Efficace e “sportiva” la direzione di Ivan Silvestrini, peraltro non nuovo a rappresentare storie circoscritte da un numero limitato di protagonisti (suo il recente, un po’ ossessivo ma curioso 2night con Matilde Gioli): una regia che azzecca il taglio “americano” e per questo spazia attraverso sapienti ed efficaci inquadrature a volo d’uccello attorno ad un deserto che sa essere bello ed implacabile con la stessa intensità e potenza.
Di buon effetto e spunto narrativo appaiono pure certe scelte di location come quella dell'aeroporto fantasma, strategia ben premeditata ed azzeccata, ma anche sprecata ed abbandonata troppo presto a se stessa.
Con una sceneggiatura più accorta, Monolith avrebbe centrato l’obiettivo, ovvero quello di concederci un’ora e mezza di perfetto intrattenimento adrenalinico nel rispetto della suspence e dell’accumulo di tensione.
Purtroppo invece il confronto donna-macchina-bambino si rivela spesso pedante ed ossessivo, sin ridicolo, e finisce per risultare, almeno a tratti, snervante, rendendo meno accettabile la già scarsa plausibilità della vicenda.
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