Regia di Mick Jackson vedi scheda film
Il film mi è parso veramente appassionante, per nulla noioso come temevo, ma soprattutto stimolante sotto l’aspetto dell’attenzione e della compartecipazione emotiva. Merito decisamente dovuto alla ottima regia e alla straordinaria bravura attoriale dei tre protagonisti.
Non nascondo che ho iniziato la visione con atteggiamento scettico: un film pressoché storico, con trama che in pratica è tutta concentrata sul un lungo legal-movie-procedurale, quindi tanti discorsi in aula, avvocati, contestazioni, opposizioni.
Sbagliavo, sbagliavo. Mi son trovato davanti ad un film appassionante come capita raramente, davanti ad un film costruito alla perfezione come un orologio svizzero, scritto benissimo, diretto in maniera perfetta e recitato da tre grandissimi attori in forma smagliante. Odio raccontare le trame ma stavolta credo sia necessario ma solo a scopo introduttivo e chiarificatore, giusto per capire il contesto in cui è inquadrato il film.
Partiamo dalla Storia, non quella del film ma con “S” maiuscola. Succede che alla fine del secolo scorso la storica americana Deborah Lipstadt, nel suo libro del 1993 intitolato ‘Denying the Holocaust’ riguardante i non pochi uomini che ancora oggi rinnegano l’olocausto, aveva attaccato pesantemente le posizioni del negazionista inglese David Irving, il quale non se ne stette fermo e zitto e querelò per diffamazione la studiosa. Siccome per la legge inglese chi è accusato di questo reato deve dimostrare di aver detto il vero, la Lipstadt e i suoi avvocati dovettero provare la realtà storica dell’Olocausto di fronte a un tribunale. Fu un processo lungo e difficile, anche perché la difesa decise di non dare la parola né a Deborah Lipstadt, troppo coinvolta emotivamente, né ai sopravvissuti della Shoah per evitare che il querelante Irving non potesse interrogarli e farli soffrire ancora. In seguito la stessa storica trasse da questa vicenda un altro libro che fa da base al film: ‘History on Trial: My Day in Court with a Holocaust Denier’.
Le difficoltà per il regista sono state tante e come affermò lui stesso, il film fu affrontato “…con rigore, perché questo è un film sulla verità storica e non la si poteva mistificare per aggiungere scene drammatiche. Ogni parola che nel film viene detta durante il processo proviene dalle trascrizioni ufficiali. Non abbiamo consultato David Irving perché non ci avrebbe aiutato, ma tutto quello che dichiara è ripreso da interviste che ha concesso o da articoli che ha scritto.”
Questa la base del film, quindi. Ma perché secondo me il film è riuscito meravigliosamente? La risposta sta nei compiti svolti alla perfezione sia del cast tecnico che da quello artistico. Per cui andiamo in ordine classico.
La regia di Mick Jackson, un anziano regista dell’Essex più che altro autore di serie TV e per il romantico bolso Guardia del corpo, è in buona sostanza perfetta, con ottimi primi piani a dimostrare gli stati d’animo e le ansie dei protagonisti, il loro carattere e il loro pensieri, come anche nei casi di piani e contropiani nell’aula del tribunale; la sceneggiatura di David Hare, grande esperto di storie complesse e non facili da raccontare ma di grande efficacia (The Hours, The Reader – A voce alta, Page Eight, lo straordinario Il Danno dell’indimenticato Louis Malle) è solidamente perfetta, non sbaglia una frase, un passaggio, sempre efficace che coglie sempre nel segno, ad ogni sequenza; la fotografia è esemplare, colori pieni e colmi d’atmosfera; montaggio che fa scivolare il film come un racconto facile e disimpegnato, proprio lì dove non è.
Rachel Weisz è meravigliosa, pienamente compenetrata nel suo ruolo difficile, impetuosa e frenata, conscia della sua missione di trasmettere le ansie di una studiosa ebrea che soffre per i ricordi dell’Olocausto della sua gente e per le facili e ignobili offese che riceve. (L’unico difetto che le si può contestare è che impersonando una donna americana parla però con il suo naturale accento british).
Per Tom Wilkinson ogni parola sembra tutte le volte sprecata: lui forse è il miglior comprimario degli ultimi anni, sempre adeguato nei personaggi che gli affidano, dall’uomo di fiducia a quello inaffidabile, dalla spia mascherata all’avvocato imbattibile: un esempio per tutti quelli che iniziano la carriera di attore, duttile e bravo come un divo affermato.
Timothy Spall è semplicemente un mostro di bravura e qui ne dà una ulteriore prova. La dimostrazione è che è stato l’unico attore ad accettare una parte così cattiva come quella del negazionista: la accettò dopo aver studiato la biografia del vero personaggio Irving, caratterizzata dall’abbandono della famiglia da parte del padre quando lui aveva quattro anni e dall’interessamento a 8 anni verso Hitler, e Spall affermò che guardando una foto di David Irving aveva visto un sociopatico in un occhio ma un bambino ferito nell’altro. Fu sufficiente per calarsi nel ruolo.
Il film mi è parso veramente appassionante, per nulla noioso come temevo, ma soprattutto stimolante sotto l’aspetto dell’attenzione e della compartecipazione emotiva. Merito decisamente dovuto alla ottima regia e alla straordinaria bravura attoriale dei tre protagonisti.
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